La verità è che ci hanno preso in giro per mesi. Ci hanno fatto credere che davvero avessimo la possibilità di decidere qualcosa. Ci hanno fatto assaporare il sogno delle Grande Emilia, una provincia unica da Piacenza a Modena. Hanno fatto anche un comitato e una raccolta di firme per sostenere il progetto. Il Consiglio per le autonomie locali? Uno specchietto per le allodole, una scatola vuota, un teatrino inutile (e costoso). Politici e amministratori hanno passato mesi a discutere, si sono riuniti il consiglio regionale e i consigli provinciali. Ma davvero il Governo deciderà solo dopo aver vagliato le proposte che giungono dalle regioni? No, a Roma è già stato tutto deciso da mesi. D’altra parte, come ha detto domenica il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi “non possiamo pensare che una riforma importante come questa – dice il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi – possa venir meno solo per delle resistenza localistiche”. Il ministro ha utilizzato come esempio proprio il caso di Reggio, dando per scontata la fusione con Modena e lasciando intravedere quello che sarà il nuovo assetto: “se la nuova Provincia di Modena e Reggio Emilia avrà la sede politica a Modena, la questura o la motorizzazione potrebbero andare invece a Reggio”.
L’unica decisione delegata dal governo è la scelta del nome: un problema risibile nel contesto generale, ma particolarmente sentito da politici e amministratori locali che da qualche settimana hanno ingaggiato una guerra di campanile da una sponda all’altra del Secchia. MoRe o ReMo? Oppure Provincia della Secchia? O Provincia dell’Emilia centrale, come ha proposto oggi il sindaco di Modena Giorgio Pighi? A leggere le dichiarazioni quotidiane dei politici reggiani e modenesi sembrerebbe che la questione toponomastica sia determinante per il nostro futuro. Da Roma in sostanza ci hanno detto: scannatevi pure sul nome che delle cose importanti ci occupiamo noi.
Il nodo dipendenti. In questi giorni tutti si sono affannati a fornire rassicurazioni sul futuro dei dipendenti. Per la sola provincia di Reggio lavorano oltre 400 persone: un piccolo esercito che sarà difficile ricollocare nel nuovo ente di secondo grado, svuotato di quasi tutti i poteri e funzioni. La realtà è che al momento non c’è un piano per ricollocare il personale e molti posti di lavoro sono a rischio. Circolano voci che l’intenzione del Governo sia quella di ridurre l’organico in un ottica di risparmio. Però nessuno ha avuto ancora il coraggio di dirlo.
Non è la prima volta che in Italia le riforme vengono gestite in modo opaco. Ma in questa occasione la trasparenza è mancata fin dall’inizio su ogni aspetto. E non è un buon segno