Il rinvio in commissione dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti suona come una campana a morto sulle probabilità che il governo Letta possa finalmente mantenere le promesse basilari del discorso di insediamento. Quello che nessuno negli ultimi anni è mai riuscito a fare, nemmeno davanti ad una schiacciante volontà popolare (il famoso “popolo sovrano”), appare sempre più probabile che nemmeno le larghe intese (come tali frutto di compromesso) porteranno a termine.
Sul fronte dei tagli alla spesa pubblica, a partire dai privilegi della classe politica fino ad arrivare ad una urgentissima semplificazione burocratica, l’attuale esecutivo sembra impotente. O nolente. Nonostante l’avvertimento della Bce (riferimento totemico di tutti gli europeisti) del rischio deficit propria a causa delle troppe spese, e i numeri di fatto inesistenti di una sbandierata crescita, le decisioni vanno in un’unica direzione: taglio dei servizi e tassazione di lavoro, imprese e famiglie.
Fino a quando la corda potrà essere tirata prima che il Paese si spezzi? Il premier continua nel suo appello alla stabilità in chiave di ripresa; ma la credibilità di un gruppo dirigente si misura nell’effettiva e avvenuta capacità di rinunciare al proprio oltre alla consunzione esiziale di quello altrui. Sul fronte del rinnovamento degli uomini al potere, l’ultimo incarico a Giuliano Amato da parte del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è semplicemente incommentabile.