Che fare dei Fori? L’archeologo Pavolini rilancia: “Subito un piano”

Collegare i quattro imperiali e pedonalizzare la via

L’imperatore Traiano pensava in grande. Anche lui voleva lasciare un monumento urbanistico unico come prima di lui Cesare, Augusto e Nerva. Nel 112 d.C. fu inaugurato il Foro di Traiano: il più grande, più spettacolare e l’ultimo dei quattro fori imperiali nel cuore di Roma. Straordinari e unici sono non solo la famosa colonna del 113 d.C. dove si racconta la vittoria dell’imperatore sui Daci, ma anche i mercati accanto. Si vedono bene le aule e le botteghe del tempo antico.

Davanti alla colonna, però, solo resti scavati. Si possono vedere parti e base di colonne della basilica Ulpia, ma è difficile immaginare il foro intero. Da qualche tempo si può scendere e attraversare il campo a piedi, pagando il  biglietto, ma senza spiegazioni è difficile capire le dimensioni e in più mancano i collegamenti. Senza una guida i turisti faticano a immaginare com’era.

“Dei fori degli imperatori i visitatori capiscono poco, sia i cittadini, sia i turisti” afferma Carlo Pavolini. “E’ un campo di rovine dove la didattica non è sufficiente e, se non si rende possibile capirlo passandoci, tutta la bellezza rimane fine a se stessa.” L’archeologo, che tra tante attività ha diretto scavi a Ostia, a Cartagine e in altri posti e che oltre all’insegnamento universitario ha lavorato alla Soprintendenza di Roma, ha scritto un libro molto dettagliato sui Fori. Un libro che percorre la storia della gestione tra archeologia e urbanistica della zona centrale di Roma, con un’ampia documentazione, bibliografia, foto e delle carte, ma che si può leggere anche come un monito di un’esperto.

Qualche soluzione bisogna trovarla”, dice Pavolini, “la situazione è congelata perlomeno agli anni 1995-2000”. A quest’epoca risale l’ultimo dei vari tentativi di creare un progetto scientifico e culturale. L’archeologo è un cronista severo: ricorda anche le polemiche e gli errori e le cose non realizzate da parte di chi decideva tra Comune e Stato. Scrive addirittura di “disattenzione”.

“Che fare dei Fori” è il titolo del libro. Quindi? Il momento sarebbe buono per decidere cosa fare, spiega Pavolini, però “io metto il condizionale perché purtroppo in questa storia ci sono state molte false partenze”. Quattro motivi secondo lui sono in favore di un cambiamento. Una nuova giunta comunale che sarebbe disposta a fare qualcosa, poi la Metro C.: “La nuova stazione Colosseo è quasi pronta, sarà una stazione di collegamento tra la Metro C che arriva da San Giovanni e la Metro B.” e aggiunge: “Il grande fatto nuovo e molto importante sarebbe la stazione di Piazza Venezia, sotterranea, un collegamento con Palazzo Venezia, con il Vittoriano e con i nuovi scavi di Piazza Venezia.” Per ora si vedono solo dei ruderi in un terreno recintato della piazza. “Sono stati tirati fuori cose molto importanti”, così Pavolini, “si pensa che la struttura che è stata trovata lì potrebbe essere l’università dell’imperatore Adriano, l’Atheneum Hadriani.”

Il terzo motivo sono i soldi, quelli del PNRR, del Piano nazionale di ripresa e resilienza. “All’Italia sono stati dati parecchi e una buona parte va a Roma. Dovrebbero essere usati anche per la zona dei Fori.” E infine due date per agire presto: il Giubileo del 2025 e la candidatura di Roma per l’Expo 2030.

A Parigi il Louvre ha la piramide di Ming Pei per ricevere i visitatori. A Berlino David Chipperfield, che ha appena vinto il premio Pritzker, ha risistemato il Neues Museum e ha costruito in modo elegante  il centro visitatori per l’Isola dei musei, la galleria James Simon. Perché non chiamare architetti famosi a Roma? Pavolini acconsente. “Ci vuole un concorso di idee internazionali. Oltre a Chipperfield penso anche a Renzo Piano, Sir Norman Foster, Daniel Libeskind e Massimiliano Fuksas che già è stato coinvolto. Ma anche qui non succede niente. Il concorso è stato proposto già negli anni 30.”

Da anni Pavolini segue le discussioni sul futuro della zona archeologica più famosa di Roma, del “biglietto da visita” della capitale come dice lui. Nonostante i ritardi è ottimista. “Un piano sarebbe già pronto, bisognerebbe attuare un progetto “Fori” in collegamento con i bordi, un piano di restauro dei resti tirati fuori e poi una soluzione urbanistica, della strada, dei contorni, di tutto il centro monumentale.”

L’importante secondo lui è coinvolgere tutti, non solo archeologi, ma architetti ed esperti di urbanistica. Ci vorrebbe un’idea, un progetto e la volontà politica di fare. “Non sono inedite, già la commissione Stato-Comune aveva parlato di queste cose”, dice, “Ma poi silenzio. Il progetto ci sarebbe, ma non una presa di posizione politica.”

Il momento è anche buono perché gli scavi che vanno avanti dal 1995 stanno finendo. “E’ un grande scavo che è passato un po’ sotto silenzio”, spiega Pavolini. “E’ stato fatto molto bene, togliendo gli strati fino al livello dei fori imperiali. Si è scavato ai due lati.” Era una grande impresa del Comune di Roma, con fondi statali e con fondi perfino di stati esteri, p.e. il governo dell’Azerbaijan. “Hanno ampliato gli scavi degli anni ‘30, asportando anche delle parti dei giardini. Dopo il ventennio mussoliniano avevano lasciato i riempimenti delle cantine del quartiere rinascimentale. Ora è quasi finito. Si deve levare ancora una parte, importante all’epoca, via Alessandrina.”

Mussolini, già. Non si può decidere sulla sorte dei Fori imperiali senza ricordare il passato. Ma non tutti quelli che arrivano da fuori, soprattutto gli stranieri, conoscono la terribile storia della zona. “Dovrebbe essere spiegato meglio non solo cosa sono stati i fori all’epoca dei romani, che cosa hanno fatto Cesare, Augusto, Traiano, queste spiegazioni ci sono, ma non c’è una spiegazione della tremenda iniziativa che prese il regime fascista nel 1932/33 di abbattere un intero quartiere di Roma”, spiega Pavolini.

“Era un quartiere rinascimentale, barocco, chiamato il quartiere Alessandrino. 5000 persone furono deportate nelle borgate romane che cominciavano a sorgere proprio in quell’epoca. Anche intorno al Campidoglio e intorno al mausoleo di Augusto ci furono degli abbattimenti.” E anche di più: “Mussolini fece abbattere anche una collinetta geologica, la collina Velia, che impediva la visuale fra Palazzo Venezia e il Colosseo”, dice l’archeologo.

Per non parlare della Meta sudans, un’antica fontana alta 18 metri davanti all’Arco di Costantino, della fine del I secolo d.C. Nonostante le proteste degli archeologi, perché si trattava dell’unico resto conservato di una fontana monumentale antica, fu demolita nel 1936 su ordine di Mussolini perché volle creare la via dei Trionfi dove fare passare le sfilate militari.

“L’idea di Mussolini era propagandistica. Lui voleva il recupero della Roma imperiale per collegare il regime fascista idealmente a quell’epoca. Mussolini non si interessava della Roma rinascimentale e barocca, la sua idea era di creare la Via dell’Impero per collegare Palazzo Venezia dove stava lui e il Colosseo che vedeva dal balcone”, spiega Pavolini. Però: “Quello che non si può fare, è rimanere così.”

La Via dell’Impero oggi si chiama Via dei Fori imperiali. E la domanda chiave è: levarla o meno? “Una volta finiti gli scavi c’è da decidere cosa fare dell’asse centrale, della Via dei Fori Imperiali. Un tempo si pensava di eliminarla, toglierla definitivamente. Oggi lasciarla è l’idea della maggior parte, ma non più con la funzione di traffico di prima, e senza quella  propagandistico e trionfale di quando fu costruita, ma di farne un’asse importante”, così Pavolini. “Perché l’asse visuale verso il Colosseo c’è. L’idea di toglierla sarebbe antistorica. Questa è l’idea della maggior parte della cultura urbanistica e anche politica. Comporta dei lavori. Bisogna pensarla come una strada per i mezzi leggeri e i pedoni, diverso da oggi. Anche passandoci sotto con maggiori passaggi. E si può fare.”

L’archeologo ha delle idee chiare anche su come usare gli spazi sotto la via: “Ci sono delle enormi fogne, di epoca barocca, che non hanno più nessuna funzione come fogne, ma sono dei larghi passaggi dove la gente potrebbe passare, recuperando l’unità delle piazze.” Ai Fori imperiali si aggiunge il tempio della Pace, una grande piazza templare costruita da Vespasiano tra il 71 e 75 d.C. “Conteneva tra l’altro anche la forma urbis, la grande pianta marmorea di Roma dell’età di Settimo Severo”, dice l’archeologo. “Si sono recuperati circa un decimo dei frammenti. Verrà esposta al Celio, ma si potrebbe mettere una copia nei passaggi sotterranei

E un’altra idea già promossa tempo fa potrebbe rinascere: “Fare di Villa Rivaldi, un palazzo rinascimentale, il vero museo dei Fori, il centro di documentazione, anche per spiegare la vita del quartiere prima degli sventramenti.”

C’è solo un argomento nella discussione sul futuro dei Fori imperiali che Pavolini non condivide con gli altri esperti e ne scrive nel libro: Non è d’accordo che l’area diventi un quartiere di Roma “normale”, vivibile e percorribile, e nemmeno un parco archeologico. “Sono abbastanza isolato in questa posizione”, spiega. “La posizione prevalente dei miei colleghi archeologi, intellettuali, politici, è di farne una normale parte della città, percorribile, senza pagare un biglietto, senza ostacoli. L’idea è affascinante. Però: l’esperimento fu tentato negli anni dopo il 2005. Ma si dovette rinunciare perché la gente era poco educata, rubavano pietre e altre cose.”

Pavolini insiste: “E’ una parte storica, non può essere vissuta come un quartiere normale della città. Ma è una discussione aperta. Prima un progetto, poi si vedrà.”  E ricorda la commissione Stato-Comune. “I passi in avanti sono già stati fatti. Un fatto simbolico molto notevole: si possono comprare dei biglietti integrati che permettono di passare sotterraneamente dalla zona del foro di Traiano che è comunale, alla zona del Foro Romano che è statale. Ma purtroppo finora è l’unica iniziativa.”

Come potrebbe essere la zona nel centro di Roma già per il Giubileo del 2025, per Pavolini è molto chiaro. La sua conclusione: “Ci vuole una forte pedonalizzazione della Via dei Fori imperiali con soltanto dei mezzi pubblici, leggeri, magari elettrici, le bici, i monopattini. Non è semplice, ma non è nemmeno impossibile.” Il suo sogno: collegare i quattro fori, di Cesare, Augusto, Nerva e Traiano e il tempio della Pace come annesso. “Si potrebbe percorrere le cinque piazze in collegamento anche con il Foro Romano – sarebbe una cosa grande – uscendo sui mercati traianei verso la città. Non è semplice, ma si può fare. Il problema è prendere e farlo. Con un progetto complessivo e organico, non farlo a pezzi. Ci sono anche i soldi. Roma ricupererebbe un ruolo culturale.”

E sicuramente l’archeologo nel libro ha trovato la descrizione più appropriata per la zona dei Fori: scrive di “grandiosi contenitori di dati storici e di memoria”.

Carlo Pavolini:
Che fare dei Fori?
Robin Edizioni, Roma 2022
180 p., 22 euro

in foto, Foro di Augusto, il Tempio di Marte Ultore, Laterale (wikipedia)

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