Ho appena visto l’intervista di Gino Strada e, come sempre mi capita di fronte a testimoni che “fanno”, ne sono rimasto ammirato. Eppure non ho potuto rinunciare a notare che tra la “profezia della pace” (sacrosanta) e la sua realizzazione storica resta una distanza enorme e purtroppo incolmata. Lì in mezzo ci sta la politica o quantomeno la responsabilità della politica. Non si debbono fare le guerre, no agli armamenti, no ai sistemi di difesa, no, no, no.
È facile dirlo, ma non è che se io rinuncio a fare la guerra (e noi italiani siamo per di più obbligati dalla Costituzione) ci troviamo immediatamente dentro la pace. Di fronte all’Isis, agli attentati, alle tragedie di questi ultimi giorni, può un governo semplicemente “disarmare”? Ecco, voi capite perché io ho molta pietà dei politici e soprattutto dei governanti. Che fare?
A medio e lungo termine si può facilmente convenire: rifondiamo le basi politiche dell’Ue; ricostruiamo o costruiamo per la prima volta una collaborazione fra i maggiori protagonisti sulla scena mondiale; rimuoviamo l’assurdo bubbone-bellico in Siria e in altri territori mediorientali; organizziamo una distribuzione delle ricchezze mondiali veramente equa o almeno più equa; e via dicendo. Ma subito? Che fare?
Penso che il silenzio degli ultimi tempi del Capo del governo abbia a che fare con l’approfondimento, lo scambio di relazioni e la definizione di nuove forme di collaborazione con i nostri partners internazionali, l’approntamento di nuove strategie e strumenti di intelligence, e quant’altro. Evidentemente chi ha responsabilità non può improvvisare né concedersi al genere letterario tanto in voga nei bar e sulle spiagge, “la vanvera”. In questi momenti soprattutto dovrebbe esserci tra il popolo e chi lo governa un atteggiamento di fiducia, sempre critico e vigile, ma di unità, di solidarietà, e viceversa ovviamente.