Cesare Zavattini: quell’amabile “zio matto” indagatore della realtà

Al Festival Giano mostra, film e libro con Giordano Gasparini e Silvia Scola

“Tutti cercano le scorciatoie per non pensare. La violenza è proprio questo cercare scorciatoie. La guerra è l’effetto di tutte le nostre pigrizie”. Eccolo qua, Zavattini, indagatore della realtà, che inchioda ancora tutti noi alle nostre responsabilità in questi giorni terribili. La frase, letta da Fabio Canessa, direttore artistico del Giano Festival, rassegna di cinema in corso a Castelnovo de’ Monti, a conclusione della giornata dedicata a Cesare Zavattini, fa passare un brivido nelle coscienze. Ma l’aria, paradossalmente, non è cupa. Diventa magica.

Chi è Zavattini? Il padre del neorealismo ? Certo. Il creatore del neorealismo magico, che influenzerà dalle origini, secondo un signore che si chiama Gabriel Garcia Marquez, la letteratura latino-americana? Anche. Un pittore e scrittore, poeta saggista e giornalista, un creatore e esportatore di pace, un rivoluzionario… Tutto questo e ancora di più. In sintesi: il pianeta Zavattini.

Per raccontarlo, al Giano Festival, ecco una mostra, inaugurata ieri 20 ottobre, ma anche Giordano Gasparini, reggiano, uno dei maggiori esperti che ha scritto un bellissimo libro, Discutiamo Zavattini, per i tipi di Thedotcompany e due dei suoi film più rappresentati, Miracolo a Milano e Ladri di biciclette, stupendi frutti del tandem Zavattini-De Sica. E c’è anche Silvia Scola, sceneggiatrice, figlia di Ettore Scola, regista e amico di Zavattini. A condurre il momento del dibattito, un magnetico Fabio Canessa, direttore artistico del festival, di fatto egli stesso protagonista della kermesse.

Forse, per affrontare il pianeta Zavattini, è il quadro di artista totale quello che più lo contiene, anche se “contenere” è sicuramente una definizione sbagliata, per un uomo che ha voluto sempre rimettere in discussione le definizioni con cui il resto dell’umanità cercava di comprenderlo, ribaltando spesso ciò che aveva messo in campo, già proteso verso altro.

Il libro presentato nell’ambito della giornata “di” Zavattini, è molto particolare. “Il 14, il 15 e il 16 febbraio 1975 – ricorda Canessa – si tenne un convegno intitolato appunto “Discutiamo Zavattini” con Zavattini presente. Il libro recupera quel convegno riportandolo e rileggendolo”, in un’operazione che vede presenti una buona parte degli intellettuali e protagonisti della vita artistica e sociale dell’Italia del tempo, Giulio Carlo Argan, Alessandro Blasetti, Giulio Einaudi, Alberto Lattuada, Luigi Malerba, Natalino Sapegno, Giorgio Strehler, Ettore Scola, fra gli altri.

Zavattini era al convegno, silenzioso, e attento a ciò che veniva detto. Il libro mette in luce la complessità della sua figura nel contesto di un convegno così straordinario da vedere, come ricorda Canessa, nel ruolo di inviato del Corriere della Sera, Mario Rigoni Stern.

L’idea del libro, come spiega l’autore, Giordano Gasparini, deriva dall’immenso archivio della biblioteca Panizzi , che lo ha condotto a pensare a una pubblicazione che non fosse una semplice edizione degli Atti del Convegno di Asiago, bensì un’analisi tesa a far emergere i temi principali del convegno da un lato, e dall’altro a inserire il convegno stesso all’interno della temperie culturale dell’epoca in cui venne tenuto “tenendo conto che gli anni ’70 sono stati anni incredibili da vari punti di vista; da un lato, gli anni del terrorismo, nero o rosso che sia, Moro, Strage di Bologna, dall’altro gli anni delle più importanti riforme civili e politiche del nostro Paese”.

In quegli anni, Zavattini cominciava già ad uscire dal neorealismo e ad avvicinarsi alla commedia, dura, amara, magari, purtuttavia commedia all’italiana. “Negli anni ’70, pur non negando niente della sua storia – dice Gasparini – Zavattini vuole staccarsi in qualche modo dall’etichetta del neorealismo e cominciare a fare altro, le cose che fino ad allora non aveva avuto il tempo di fare: dedicarsi alla pittura, alla scrittura, ai viaggi. Fu un periodo straordinario, cominciò scrivendo un piccolo libro di poesie in dialetto luzzarese, con l’apprezzamento entusiastico di Pier Paolo Pasolini”. Realizzò anche il libro più disco, ovvero un cofanetto con un libro e un disco a 45 giri, con tanto di parola iniziale bollata come sconcia che provocò sconcerto. E poi Francia, Spagna, il grande viaggio di Cuba.

“Asiago, il convegno in cui è presente ma ascolta senza parlare. Legge solo alcune pagine di un libro ancora non finito, ovvero “La notte in cui ho dato lo schiaffo a Mussolini”, un libro che finirà l’anno dopo”, ricorda Gasparini.. Lo Zavattini degli anni ’70 è dunque un artista in movimento, che mette le basi per tanti progetti che lo accompagneranno per tutta la vita. Ad esempio realizza il suo unico film, “La Verità” per la Rai.

Una delle frasi, riportate anche in terza di copertina, che gettano luce sulla figura di questo straordinario protagonista del ‘900, è di Ettore Scola, “Quella di sceneggiatore, scrittore, poeta, pittore, giornalista sono attività che coprono soltanto un terzo del tempo di Cesare. Gli altri due terzi appartengono allo Zavattini Pronto soccorso del Cinema Italiano”. Ovvero, chi avesse una sceneggiatura debole, qualche problema di film in corso d’opera, poteva approfittare della sua straordinaria generosità.

Del resto, la sua immensa creatività aveva, come sottolinea Silvia Scola, un principio di base: pedinare la realtà, in senso anche fisico, usando le gambe per entrarvi dentro, e attingere dalla realtà. “Zavattini fu importantissimo per mio padre e tutti gli autori dell’epoca – ricorda Scola – una delle intuizioni di quei tempi fu che l’impegno civile morale ed etico che caratterizzava gli autori neorealisti si poteva traghettare nella commedia. Si poteva insomma accendere i fari su un problema sociale facendo ridere. Del resto, Zavattini non era certo sprovvisto di senso dell’umorismo, ma i film neorealisti avevano un registro molto serio. Zavattini fu importantissimo nel passaggio fra anni ’50 e ’60 per traghettare i contenuti civili e sociali nella forma della commedia, consentendo così di allargare il pubblico”. Era un punto fermo per tutti. “non si trattava solo di chiedergli una battuta o una revisione – ricorda Scola – era averlo a fianco che contava”.

Il cambiamento continuo è una delle chiavi per capire Zavattini, come spiega Grazzini, nelle parole contenute nel libro di Gasparini, dove lo definisce “l’amabile zio matto” della cultura italiana, dove la follia è quella dolce di chi “si sottopone a periodiche trasfusioni” per consentire al cuore di continuare a battere all’unisono con i tempi. Ciò comporta ovviamente il rifiuto del ripetersi del format sempre uguale a se stesso perché ha successo, in una parola, il rifiuto della specializzazione, in favore, si potrebbe dire, di quel sapere universale cui tendeva il Medioevo. Una concezione che si riverbera anche nella convinzione propria di Zavattini, dell’accessibilità alla cultura da parte di tutti, anche nei suoi aspetti del “fare”: tutti potevano diventare registi, sceneggiatori, scrittori, poeti. Una concezione che si sposa perfettamente alla sua considerazione degli intellettuali, che non si mischiano alla strada, in caccia di quella realtà che appunto è necessario pedinare.

Si trattava di un periodo in cui gli intellettuali erano punti di riferimento anche sociale, scrivevano sulle pagine dei quotidiani – ricorda Gasparini – li criticava in quanto li riteneva troppo chiusi in casa, a fare le loro riflessioni, gli intellettuali dovevano stare sul campo, andare in giro”. Chi capisce meglio questo lato, nel convegno di Asiago, è lo scrittore Gianni Celati che, nel suo bellissimo intervento, lo definisce “un antropologo”. Tant’è vero che si battè “per la diffusione nelle scuole delle macchine fotografiche e fece l’esperienza, a Reggio, dei cinegiornali liberi, nel ’68-’69, che aveva il senso di costruire dei film con comparti documentari che in qualche modo affrontavano i temi sociali del tempo. Tutti potevano conoscere e fare qualsiasi cosa”. Circa il su amore per le novità, come ricorda Canessa, anche con l’esplosione delle tv private non fu critico, ma ne fece nascere una,TeleSubito; oppure nella la sua rubrica sul Corriere della Sera, dell 1978, ‘ I Telegrammi”, dette vita a brevissimi testi che anticipano in qualche modo il linguaggio degli sms.

Un’ansia di futuro che diventa essa stessa futuro, sostenuta da una rete di relazioni che rendevano la sua casa un intreccio, “come quello della sua mente, dove l’intreccio fra temi sociali e impegnati e temi assoluti, esistenziali, è indistricabile”. E conduce al proliferare fecondo della sua creatività.

Una grandezza, quella di Zavattini, che consiste “nell’attenzione all’uomo, la fiducia che l’uomo possa migliorare – dice Scola, riferendosi a tutti i grandi autori del periodo – che creava personaggi complessi e sfaccettati, mai monocordi”. Insomma un personaggio non è mai interamente cattivo o interamente buono, riflette l’attenzione dell’autore “alla fragilità umana”. Una caratteristica che rende i personaggi permeabili al pubblico, che riesce ad immedesimarsi e a entrare in sintonia. “La curiosità di capire i punti di vista, le situazioni, le pieghe dell’animo umano, rende possibile amare i personaggi così come sono, li rende empatici, ed è il frutto di un modo di guardare e stare nel mondo”.

Del resto, un’altra caratteristica del suo lavoro era la generosità. “Non si tirava mai indietro, si recava nell’altra parte de mondo per aiutare la giovane cinematografia cubana, si dava con grande convinzione all’organizzazione degli eventi culturali e godeva del rispetto universale”, anche dei circoli di cultura più radicale di avanguardia letteraria.

Infine la diaristica, “forse l’atto più profondo di umiltà che ho compiuto nella mia carriera”, scrive lo stesso Zavattini, “diaristica come presa di coscienza della realtà”. E l’etichetta di Zavattini per se stesso, “indagatore della realtà” è probabilmente quella che ci consegna la sintesi migliore del pianeta Zavattini.

Tante cose si sono dette e si possono ancora dire di Zavattini. Tantissime, come sottolinea lo stesso autore del libro Giordano Gasparini, tanto da essere compito impossibile esaurirle; come il rapporto con Cuba, straordinario e pieno di rimpianti per non essere rimasto con i giovani della rivoluzione, o il suo caparbio impegno per la Pace, il suo continuo viaggiare diventando uno straordinario ambasciatore e simbolo della cultura italiana nel mondo.

Foto: da sinistra l’utore del libro “Discutiamo Zavattini”, Giordano Gasparini, il vicesindaco di Castelnovo ne’ Monti Emanuele Ferrari, la sceneggiatrice Silvia Scola, il direttore artistico Fabio Canessa

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