Firenze – Quanto viene pagato il grano oggi in Toscana, è un segnale delle difficoltà con cui si scontra la produzione cerealicola: 19-20 euro al quintale, il che significa, come dice la Cia regionale, che per ogni ettaro ad un agricoltore vanno 700-800 euro, a fronte di costi di produzione pari a 800-1000 euro. Un dato secco, che fa da cartina di tornasole e sfondo all’incontro che si è tenuto stamattina in Sala Pegaso a Palazzo Strozzi Sacrati, organizzato da Regione e Accademia dei Georgofili, per approfondire le questioni ed i problemi che interessano il settore cerealicolo toscano.
Il fatto che l’agricoltura sia per la Toscana uno strumento identitario oltre che un motore economico è noto, come è noto il rischio che comporta l’abbandono dei terreni, per l’assetto idrogeologico del territorio e la perdita di vere e proprie culture “della terra”, o contadine. Così, per fronteggiare da un lato la crisi economica dall’altro quella sociale, il presidente regionale Enrico Rossi ha lanciato nel corso del suo intervento l’idea di costituire un fondo legato ai periodi di crisi. Dal canto suo l’assessore all’agricoltura Marco Remaschi ha insistito sulla necessità di costruire una “cultura della filiera” che possa mettere in rete tutti i soggetti attori dei vari passaggi.
D’altro canto, la cerealicoltura è uno dei pilastri dell’agricoltura regionale e anche dell’industria agro-alimentare. La superficie coltivata (circa 160.000 ettari, gran parte dei quali nelle province di Siena e Grosseto, seguite da Pisa e Arezzo) rappresenta il 5,5% del totale nazionale, e sono ben 17.000 le aziende interessate di cui circa 600 interamente biologiche. Tra i cereali prodotti al primo posto c’è il frumento duro (cui sono dedicate oltre 86.000 ettari, oltre metà delle superfici), seguito da frumento tenero (oltre 20.00 ettari), orzo (18.000), mais (16.000), avena (10.000), e quindi sorgo, riso e segale. Ma l’importanza delle colture va anche oltre l’aspetto agricolo: il settore svolge un ruolo assai rilevante anche per le le politiche ambientali, nella valorizzazione del paesaggio toscano (basti pensare alla Val d’Orcia) nella difesa idrogeologica del territorio.
Accanto alle colture, nella costituzione delle filiere cerealicole toscane, entrano poi in gioco molti altri soggetti che si collocano sia a monte delle aziende agricole stesse (ditte sementiere, contoterzisti, fornitori di mezzi tecnici), che a valle: gli impianti di raccolta e stoccaggio delle materie prime (sono 119,per una capacità complessiva di quasi 500.000 tonnellate), i molini (3 impianti specializzati nella molitura del frumento duro più un elevato numero di imprese di medio-piccola dimensione che operano nella molitura del frumento tenero), i pastifici (10 di dimensioni medio-piccole che comunque si approvvigionano anche fuori regione o all’estero), i panifici (oltre 1.200 i panificatori toscani, industriali o artigianali, molti dei quali di piccole o piccolissime dimensioni), e infine i mangimifici.
Insomma, di fatto un vero e proprio tesoro, minacciato tuttavia, sia nel suo aspetto economico che identitario e culturale, da “una globalizzazione finanziaria che anziché commerciare fa scommesse finanziarie e mette fuori dal mercato i nostri grani, costringendo i produttori a commercializzarli ad un prezzo inferiore ai costi di produzione. Occorre un intervento da parte del governo italiano, ma anche dell’Europa, altrimenti rischiamo la desertificazione in seguito all’abbandono dei terreni”. A dirlo è il presidente Rossi, che ribadisce come la costituzione di un fondo da utilizzare negli anni di crisi potrebbe essere una soluzione. “Ci auguriamo che si vada in questa direzione in modo da tutelare il nostro grano dalle fluttuazioni dei prezzi determinate da queste speculazioni finanziarie”.
Fra i successi ottenuti dall’agricoltura toscana tuttavia l’ottenimento della Dop per il pane toscano è un “risultato di rilevanza straordinaria. Adesso dobbiamo essere capaci di costruire una filiera che dai campi arrivi fino ai mercati e alla tavola, passando attraverso i panificatori ma anche le mense pubbliche, la grande distribuzione, le botteghe – ricorda il governatore – il commissario europeo all’agricoltura, Phil Hogan, sarà in Toscana i prossimi 5 e 6 aprile. In quell’occasione organizzeremo una conferenza regionale sull’agricoltura perché in Europa devono capire che non esiste soltanto un’agricoltura estensiva ma anche un’agricoltura come la nostra, praticata sulle colline o su terreni anche più impervi e marginali, fondamentale per tutti, non soltanto per chi ci lavora ma anche per la comunità che gravita intorno”.
L’assessore Marco Remaschi rilancia con la proposta di un percorso condiviso con tutti i soggetti che compongono la filiera. “La cerealicoltura in Toscana – ha detto – interessa tanti aspetti: storia, cultura, lavoro. Ma poi bisogna essere realisti e capire come facciamo a far mantenere le produzioni agricole quando a livello globale i prezzi crollano, anche del 30-40%. Dobbiamo mettere insieme chi fa produzione primaria, chi trasforma, chi commercializza e chi promuove, soprattutto avvalendoci del brand Toscana, conosciuto a livello planetario. Dobbiamo passare – ha aggiunto – da una coltura del cereale a una cultura della filiera e far ragionare, anche a chi fa produzione primaria, in un’ottica più evoluta, guardare cosa chiede il mercato, quale sono le opportunità. Diventa importante lav orare sull’aspetto del consumo consapevole, in modo che l’aspetto salutistico si coniughi con quello economico e quindi alla disponibilità a pagare qualcosa in più per determinati prodotti. Non è assolutamente facile ma diventa necessario altrimenti la filiera sarà lasciata a sé stessa con una continua perdita di superfici coltivate”.
Infine, sintetizza il presidente dell’Accademia dei Georgofili Giampiero Maracchi: “E‘ necessario, come avviene in altri paesi, trovare una soluzione per la crisi del settore agricolo attraverso l’istituzione di un reddito minimo di filiera. Occorre anche essere tutti disposti a fare un sacrificio, magari comprando qualcosa meno ma spendendo qualcosa in più”.