C’era una volta la Festa dell’Unità

Sotto i tendoni del Campovolo fra tradizione, ansia di rinnovamento e un curioso melting pot di umanità varia

E’ partita FestaDem nell’attesa versione nazionale in salsa emiliana. Politici, giornalisti, operatori televisivi e blogger avvistati al Campovolo nella seconda camicia cambiata dal mattino, a mescolarsi coi mitici volontari in bicicletta&Malboro, che con pedalata accaldata controllano tendoni, accessi e sistemano in giro. Donne a sfornare il meglio della robusta gastronomia reggiana, a impiattarlo e servirlo a frotte di addetti stampa, funzionari, esperti politici saliti da Roma, un po’ imbarazzati dai lipidi della provincia.

Quest’anno è un meltin’pot vagamente curioso quello che si intravede una volta varcati i cancelli: sono tante Italie che parlano, le stesse che capitano sotto gli occhi tutti i giorni fuori e dentro la rete, sfogliando i giornali, guardando la tv. C’è  chi chiacchiera, chi fa politica nel dibattito sul palco centrale e allo stand dell’ANPI locale, chi si dedica alle pr, chi spina il pesce, presenta un libro, organizza il magazzino. Varia umanità ad animare una città nella città, per circa 3 settimane: e non si dica “è sempre la solita roba” sia perché non è vero – quest’anno è pure più bella (la sola mostra di Staino vale una visita!) – sia perché quasi tutti i reggiani volenti o nolenti, casta, votanti o contro, al Campovolo tra fine agosto e inizi settembre almeno un giro lo fanno.

Poi c’è la politica: a fronte dei molti dibattiti, libri e approfondimenti, per i quali è presto poter tracciare un quadro dell’effettiva resa in termini di presenze e messaggi sviluppati, sarebbe interessante poter capire cosa rimanga della convivenza tra mondi che paiono generati da lune diverse – il partito romano e quello reggiano – alla fine della fiera. Anche in questa relazione dicotomica ci sono due italie: una chiamata a far stare faticosamente sotto un unico cappello i mille PD italiani, anche in quei luoghi lungo lo stivale dove il partito è stato sottoposto a fenomeni di sofferenza politica, e l’altra ad esprimersi nella sua terra immancabilmente da più di sessant’anni – e con alterne vicende –  come forza di governo locale, capace di produrre grandi risultati in termini di consenso politico, non sempre trasformati in altrettanta capacità di “pesare” nel partito nazionale, per idee, azioni e gruppo dirigente.

E’ storia vecchia, che si ripropone e si sposta dal piano del partito a quello delle “proposte per l’Italia” che annuncia il payoff di FestaDem. Nel senso che le idee per il paese o partono dai territori – cioè dai mille ponti di Calatrava che possono incorniciare la ripresa – dalla produzione, dai buoni esempi di pubblica amministrazione locale, che pur esistono, in Emilia come in altre regioni italiane, oppure difficilmente troveranno quell’energia e quello spazio, capaci di far riprendere un sistema andato in tilt.

E questo lo devono capire il partito romano e i suoi dirigenti, chiamati forse per l’ultima volta a mostrare sensibilità verso la voglia di rinnovamento della base elettorale, che – badate – non è soltanto li a chiedere volti nuovi, come piace dire a tanti con superficiale e sbrigativa lettura, ma soprattutto nuove pratiche, relazioni, economie di spesa, attenzioni verso richieste che provengono da un’ampia forbice di militanti.  Ci si augura che una volta saliti al Campovolo – nella ruspante Reggio Emilia – in tanti capiscano perché qui funziona: perché anche in azioni di puro volontariato vengono prima il dovere e la responsabilità. Figurarsi come dovrebbe essere il resto. E alla fine sarà necessario fare un bilancio: se la politica della provincia per l’ennesima volta sarà stata percepita un po’ figlia di un dio minore, beh allora vorrà dire che la strada è ancora lunga, e con tanta salita.

Valeria Montanari

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