Storico esperto del Novecento, ma anche acuto frequentatore della contemporaneità, autore di numerosi saggi e pubblicazioni e curatore di importanti mostre, Carlo Sisi ci è sembrato il personaggio più adeguato e preparato ad esprimere un’opinione sul controverso rapporto tra bellezza e contemporaneità. Chi scrive ha un ricordo vivissimo di una mattina di parecchi anni fa, quando, col cuore in gola, saliva le scale di Palazzo Pitti per andare ad incontrare Sisi, allora direttore della GAM. Il progetto azzardato era quello di portare nelle sale del Palazzo artisti contemporanei degni di tale sacro luogo. L’accoglienza fu molto cortese e attenta e non furono soltanto parole, un seguito concreto ci fu: la mostra “autobiografica” dedicata all’artista informale Alberto Moretti, a comprovare la disponibilità dello studioso verso l’arte del proprio tempo. Dopo oltre dieci anni spesi alla presidenza del Museo Marini, quale opinione ti sei fatto sull’estetica del contemporaneo e sulla capacità dell’arte di incidere sulla ripresa di un paese in crisi? “Bisognerebbe divaricare i concetti e creare un’economia del bello, nel rispetto della soggettività, in quanto il bello è relativo, e la bellezza non sta solo nell’arte. Quando dirigevo la Galleria d’arte moderna, ricordo quanto mi premesse che la bellezza fosse organica, che ci fosse un’armonia della funzionalità. Dove queste qualità sono presenti, anche il piccolo museo può avere un’attività di qualità”. Cosa distingue l’attività di un centro per l’arte contemporanea di oggi? “L’arte contemporanea ha creato un tipo di partecipazione diversa che deriva dalla non retorica dell’evento. Mentre nelle grandi mostre tradizionali, per esempio su Caravaggio, lì c’è la retorica del potere economico, un degrado dell’ufficialità, nel contemporaneo c’è una bellezza introversa”. Non vedi la volgarità e il deperimento nelle cose materiali ma anche nelle idee del nostro tempo? “Ciò che si è degradata è la nostra concezione antiquata della bellezza, cosa che non accade nel contemporaneo che consente un’estetica ed un linguaggio nuovi, che pertengono al nostro tempo. La proposta nuova, anche audace si trasforma in degrado quando non c’è né stile né forma e quindi nessuna identità. Guardiamo alla politica cittadina: la chiusura al traffico del centro ha creato non-luoghi, spazi in abbandono e chiusi come dopo un incidente grave. Chi governa la città dovrebbe aiutare i cittadini a comprenderne il disegno, l’estetica, quindi, di nuovo questa è funzionale. Gli amministratori devono avere coscienza storica, estetica, funzionale e contemporanea. La bellezza può diventare educazione civica ora che si è corrotto il rapporto tra quantità di persone e luoghi, e tutto si è congestionato. Vendere Firenze al turismo è una scelta di non bellezza. Tornando all’arte contemporanea, questa è frequentata da un pubblico educato. Il rispetto della bellezza, anche relativa, è quando riusciamo a essere nel presente e coerenti con quello che viviamo”. Da 4 anni con l’Ente Cassa hai costituito l’Osservatorio per il contemporaneo, che sta per avere il suo sito ufficiale, sito che verrà presentato dal nuovo presidente Jacopo Mazzei. Ce ne ricordi le funzioni? “L’Osservatorio è nato in prima istanza per tenere informato l’Ente Cassa sulle realtà culturali cittadine che chiedono sostegno economico, e per monitorare la multidisciplinarietà del contemporaneo e garantirne l’attendibilità; quindi per partecipare attivamente a queste attività a Firenze o in Toscana. Al momento sosteniamo Cango, Tempo reale, Musicus Concentus, Lo schermo dell’arte, Ex3, Tuscia Electa, Studio Marangoni, Pitti Immagine Discovery. Dobbiamo comunque aggiornare il sito perché con la crisi, ci sono in atto dei cambiamenti”.