Premesso che non si poteva non celebrare il centenario di una figura titanica e per questo ingombrante come quella del monaco di Monteveglio, perché l’uomo è ciò che diventa alla fine, come don Giuseppe Dossetti, ci si chiede se la casuale concomitanza elettiva non rischi di trasformare l’anniversario della nascita in uno spottone pre-elettorale per pochi e sedicenti intimi. Ma non si vuol fare la figura di Berlusconi versus Sanremo e allora, visto che ancora non è dato all’uomo spostare l’orologio storico-biologico, si sprecano gli inviti a non sprecare (e scusate il gioco di parole) un anniversario di tale statura.
La parata dossettiana di cui dicevamo si inserisce appieno nel dibattito che il nostro e vostro 7per24 ha voluto aprire sulla “presenza dei cattolici in politica”, anzi è la madre di tutte le discussioni sull’argomento. E l’anno celebrativo ci permetterà (speriamo senza saturarvi troppo) di discuterne a lungo anche perché, come si dice in gergo, ne vedremo delle belle.
Se sono vere su di lui le parole dell’amico “professorino” Achille Ardigò “c’era in Dossetti il monaco nel politico e il politico nel monaco”, non dimentichiamo che alla fine ha prevalso lo spirituale sul temporale. Dando probabilmente frutti di testimonianza ancora più maturi e duraturi. Perché la fede è un fatto privato che deve certo ispirare l’eventuale vita politica del singolo ma non invaderne l’organizzazione e la mediazione pubbliche.
E ci chiediamo allora quanti di quei papaveri e papaveroni dossettiani in questi giorni al cospetto immateriale del monaco di Monteveglio termineranno poi il loro percorso politico-esistenziale alla Piccola Famiglia dell’Annunziata? E’ una domanda, non un auspicio