Pistoia – Quella che ci accingiamo a raccontare è una storia che, almeno sulla carta, inizia il 17 ottobre 2022, quando la Giunta Regionale Toscana approva la delibera n. 1176 sulle nuove «Disposizioni regionali concernenti l’attività di trasporto sanitario di cui all’art. 76 quater, comma 1, lettere b) e c) della l.r. 40/2005 – dematerializzazione della ricetta», allo scopo di avviare il «Riordino dell’organizzazione del sistema sanitario relativamente al trasporto, avviato con la legge 70/2010», come specificato nell’allegato “A” alla stessa delibera.
Fin qui nulla di strano – almeno in apparenza – salvo un brivido di paura che scatta naturale davanti al rimbalzare i dettagli normativi ad altre fonti secondo una pratica, del resto usuale, che rimanda ad articolate regole specifiche, senza doverle ripetere.
Pratica usuale, dicevamo, di più o meno immediata interpretazione per chi quelle regole già le conosce, molto meno pratica per chi – come un qualunque cittadino – quelle regole è chiamato a rispettare. Il rimandare al “regolamento, norma, legge… tal dei tali”, infatti, genera labirinti normativi nei quali la gente comune si perde: sono, piuttosto, destinate agli “addetti ai lavori” che non agli utenti finali, che per comprenderle hanno bisogno di intermediari che ne “traducano” la fattibilità pratica.
Il cittadino dunque ha bisogno di un intermediario, e nella circostanza che stiamo esaminando la normativa si rivolge ai cittadini ritenuti «soggetti con fragilità socio-economica», come meglio vengono definiti nell’allegato “A” della delibera sopra citata (che non ripetiamo per rispetto alla prassi…), contenente a sua volta le linee di indirizzo riferenti a una delibera successiva, la 1545 del 27 dicembre 2022 che avrebbe dovuto rimediare ad alcune difficoltà generate da quella di ottobre.
Ma a questo punto già ci siamo persi: esattamente, di cosa stiamo parlando? Certamente di un gran pastrocchio, che vede penalizzati proprio i soggetti ai quali si riferisce, ovvero i più vulnerabili, le persone affette da patologie gravi – come lo sono i pazienti oncologici – che per usufruire di alcuni servizi di trasporto con l’autovettura e con l’assistenza dei volontari, vengono resi ancor più fragili dalla necessità di doversi avventurare nel labirinto delle regole che li obbligano a dimostrare la necessità di utilizzare il servizio di trasporto sanitario.
Tradotto in termini pratici, la disposizione in oggetto ha limitato la possibilità di usufruire del trasporto gratuito a pazienti fragili, con il solo risultato di complicargli la vita imponendo l’obbligatorietà di documentare puntigliosamente il loro bisogno a essere accompagnati alle terapie: come se sottoporsi alla chemio fosse un vezzo.
Alcuni preferiscono rinunciare a questo ormai non più propriamente “diritto”, decaduto a causa dell’impossibilità di adempiere alla burocrazia richiesta per salvaguardarlo. Il risultato finora ottenuto è stato quello di rendere ancor più fragili le persone già fortemente penalizzate: pare proprio non essere chiaro – fatti salvi alcuni medici che, per scrupolo di coscienza, certificano la richiesta di mezzi attrezzati – che se una persona ha la necessità di sottoporsi a trattamenti terapeutici importanti, probabilmente ha dei limiti di fisicità che le impediscono di fare le cose più semplici, come ad esempio richiedere il trasporto proprio per fare le terapie. Terapie, peraltro, che ancor più la debilitano, sia sotto un aspetto fisico come emozionale. Il paziente oncologico vive una realtà mutata, un momento in cui ha perso molte delle sue certezze, a cominciare dalle possibilità della sopravvivenza stessa, appesa al filo dei trattamenti del caso.
Adesso, a pesare ancor di più su uno stato d’animo compromesso dall’incertezza del domani e gravato dalle barriere di una limitata autonomia, è spuntato il labirinto normativo che indica le condizioni per accedere al servizio di trasporto: ISEE, distanza da percorrere, riconoscimento della condizione di fragilità. Ma che vuoi che sia, basta farlo online, accedendo al sito della Regione tramite credenziali di autenticazione come SPID, CNS, CIE. E se qualcuno lo trovasse complicato può sempre rivolgersi al CUP, e chiedere il modulo da compilare… semplice, no!
Certamente no, anche se resta la possibilità di rivolgersi a qualcuno che ti aiuta a dimostrare il tuo reale bisogno: patronati e associazioni si sono attivati in questo senso, lasciando che – come ormai costume stabilito – ancora una volta a dare risposta a situazioni assurde, generate non si sa bene perché da volontà politiche, siano i cittadini stessi.
Preambolo doveroso – tutto ciò – a una domanda che da cittadini consideriamo più che lecita: è ancora in corso il traghettamento di molte associazioni verso il terzo settore, ambito che – fra gli altri significati sostanziali – vuol rappresentare uno strumento per il completamento di quanto previsto dall’articolo 32 della nostra Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.»
La legge n. 106 del 6 giugno 2016 dava delega al Governo per indicare come la spontaneità di quella preziosissima risorsa che è la libera iniziativa dei cittadini, espressa in termini di azioni volontarie, potesse essere valorizzata attraverso rappresentative di soggettività che – insieme – trovano la forza per trasformarsi in prorompenti energie in favore della comunità; una risorsa che, se adeguatamente organizzata, ha la possibilità di incrementare il valore delle competenze già acquisite. Competenze, appunto, frutto di buone volontà e intenzioni, spesso maturate a fronte di esperienze individuali in cui la persona – o cittadino che dir si voglia – ha vissuto, e sulle quali ha scelto di essere operativo, proprio perché sa cosa significhi “indossare un dato paio di scarpe”.
Ed è proprio in virtù dello spirito di rinnovamento promosso dalla riforma del terzo settore con l’intenzione di valorizzare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale per favorire la partecipazione, l’inclusione e il pieno sviluppo della persona e dare piena forma al principio di sussidiarietà indicato nell’articolo 118 della Costituzione, ci sembra che la delibera n. 1176 abbia perso di vista lo scopo. E ci chiediamo come mai, prima di generarla, non siano state opportunamente consultate le associazioni di volontariato (citate nella delibera) così da avere un loro parere nella fase istruttoria. Le loro informazioni sarebbero state indicazioni preziose, espresse da interlocutori competenti perché attivi sul campo e, se seriamente ascoltate, avrebbero evitato tante complicazioni: alle associazioni e ai cittadini utenti. E di conseguenza un po’ più fiducia nella politica.
La disposizione ha generato una levata di scudi proprio da parte delle associazioni di volontariato, che con la realtà devono fare i conti. Già gravate dal peso non indifferente della gestione di mezzi quotidianamente impegnati nel trasporto socio-sanitario, e che in questo modo vedono togliersi anche un minimo di sostegno per garantirne l’efficienza, e di conseguenza la sicurezza dei «soggetti con fragilità socio-economica» trasportati, si sono organizzate per manifestare le proprie difficoltà e quelle dei pazienti.
In questa circostanza, la voce più rappresentativa dal mondo del volontariato è venuta della Misericordia di Pistoia, che tramite Riccardo Fantacci – responsabile dei servizi, che vediamo nella foto – ha più volte richiamato l’attenzione sul problema: «Dall’approvazione della delibera abbiamo risposto al disagio mantenendo attivi i servizi. Però ci chiediamo, ferma restando la situazione, per quanto tempo ancora potremo fronteggiarla, considerando il considerevole incremento di costi per la gestione di questi servizi: dal più evidente costo del carburante alla manutenzione delle attrezzature medicali e dei mezzi, impegno economico di non poco conto, visto che la sicurezza del mezzo garantisce la sicurezza delle persone a bordo.»
La Misericordia pistoiese ha provato a rappresentare le istanze degli utenti nelle sedi opportune – dalle rappresentanze regionali delle Misericordie, ai dirigenti della Regione Toscana – ma ad oggi ancora non vi sono state novità positive.
«Anche se si tratta di una fase sperimentale, e l’auspicio che al termine di questa fase si possa trovare davvero soluzioni efficaci per queste persone» ha proseguito Fantacci: «Fra l’altro i pochi voucher che sono stati emessi per coloro che sono riusciti a superare lo scoglio del meccanismo estremamente complicato della procedura burocratica, nei fatti non hanno un valore economico, o almeno a oggi non è dato sapere come valorizzare questi voucher, lasciando un vuoto di non poco conto, in particolare per le associazione che svolgono questi viaggi; personalmente ho partecipato a vari tavoli con le istituzioni dell’Asl Toscana Centro e con dirigenti di Regione Toscana, ma senza arrivare a niente di concreto che aiutasse i cittadini a disbrigarsi in questa pastoia burocratica al fine di ottenere il trasporto con l’autovettura e la relativa assistenza dei volontari»
Sta di fatto che la situazione dei pazienti oncologici che deambulano per quanto concerne i trasporti resta difficile, e all’orizzonte non ci sono schiarite da parte della Regione Toscana.