Firenze – Ciò che è accaduto in Maremma o a Genova la scorsa settimana non è solo colpa del cambiamento climatico. È chiaro l’appello alla prevenzione lanciato dall’Ordine dei geologi della Toscana, che lamentano una presenza sempre più sparuta nell’apparato dirigenziale, causa mancanza di una cultura del territorio. “Quello che conta davvero non è la previsione ma la prevenzione” in un contesto naturale di emergenze come il nostro. “L’Italia – ha dichiarato Maria Teresa Fagioli, presidente dell’ordine – non è un paese morfologicamente malato, è semmai un paese morfologicamente ferito”, colpito al cuore da un’edificazione selvaggia frutto di autorizzazioni facili, perizie all’acqua di rose e scarsa lungimiranza. I mutamenti climatici degli ultimi anni hanno solo accelerato il ripetersi di fenomeni atmosferici che ci sono sempre stati; infondato quindi gridare al disastro quando intere città sono state edificate – è il caso di Albinia – su casse di colmata, zone storicamente dedicate al deposito dei detriti delle esondazioni. “Albinia è il classico esempio di un sistema che non può essere mantenuto a lungo”, ma nell’immediato è quasi impossibile correre ai ripari: quello che è stato costruito in decenni non può essere smantellato in un mese e sono semmai necessarie “scelte amministrative, politiche e urbanistiche dolorose e estremamente impegnative”. Non c’è stupore tra gli esperti neanche per il destino delle terme di Saturnia, la cui struttura ricettiva si è sviluppata senza interventi di prevenzione idraulica, negli ultimi trent’anni, in corrispondenza di un corso d’acqua naturalmente predisposto ad esondare. Ma nell’occhio del ciclone è tutto il sud della Maremma – pianura naturale soggetta a fenomeni alluvionali dove fiumi, torrenti e fossi sono stati ostruiti o deviati – come anche tutto il margine appenninico. “Il rischio zero non esiste; pensare di impedire eventi calamitosi è una follia. Ciò che è accaduto a Genova succederà di nuovo – avverte Francesco Ceccarelli, vicepresidente dell’ordine e responsabile della protezione civile – e dove non ci sono stati disastri è dove non ha piovuto abbastanza”. La colpa sta nella gestione del territorio, dove anche il livello d’informazione del cittadino è pari a zero. “Bisogna imparare a convivere con i rischi intrinsechi nel territorio, e si può fare con la prevenzione e la previsione. Previsione è anche sapere quali sono le aree che presentano le maggiori criticità o la maggiore propensione sismica, ma sempre meno risorse sono destinate alla conoscenza del territorio. Anche la comunicazione ha falle enormi. Si pensi ai piani di protezione civile. Chi li conosce? Già sono di difficile reperibilità, e quando si hanno sotto mano non si capisce nulla. Sono illeggibili, solo ad uso di tecnici. Eppure un piano di protezione civile dovrebbe essere il pane quotidiano dei cittadini. Bisogna tornare a parlare di società resilienti, in cui si conosce il territorio in cui si vive e in cui la comunicazione e l’informazione ai cittadini sia costante”. “Il punto fondamentale – incalza Mauro Chessa, presidente della Fondazione Geologi della Toscana – non sono gli interventi in regime di urgenza ma la mancanza di una cultura della gestione del territorio. Ha ragione il presidente Rossi quando dice che in Toscana mancano i soldi, ma quando ci saranno non andranno fatte opere di mitigazione, ma opere di difesa e prevenzione territoriale”. In cima alle priorità stanno quindi nuovi lavori di costruzione idraulica, ma sta anche un freno a nuove edificazioni su aree a rischio idrogeologico, per non parlare di smantellamenti, perché “le opere di difesa vanno fatte anche a detrimento di diritti acquisiti”.
20 Ottobre 2014
Catastrofi naturali, geologi: “Responsabilità anche umane”
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