Catalogna, fronti contrapposti sulle note del Nabucco

Barcellona – “Hoy no ha habido un referendum de autoderminación en Catalunya” (Oggi non  c’è stato  un referendum di autoderminazione in Catalogna). La frase, pronunciata dal primo ministro Rajoy la sera del primo ottobre a reti televisive unificate,  rappresenta il maldestro tentativo di  cancellare ciò che è veramente avvenuto nel corso di quella giornata. Le immagini le abbiamo tutti presenti: le migliaia di agenti,  appartenenti alla polizia ed alla guardia civil, giunti in Catalogna da diverse settimane e considerate dai locali come “forze di occupazione”, hanno fatto irruzione a suon di manganellate, lacrimogeni, e proiettili di gomma, senza risparmiare nessuno (donne e anziani) nei diversi seggi elettorali della regione, secondo una mappa ove figuravano  le grandi città ma anche località insignificanti.

La scelta privilegiava comunque i seggi dove avrebbero dovuto votare il Governatore della Catalogna, Puigdemont  e le altre autorità. Analoghi interventi si sarebbero succeduti, con eguale brutalità, nel corso della giornata per sequestrare le urne con le schede già emesse.  Il conteggio, benché alterato evidentemente dai ‘prelievi’, parla di circa due milioni e mezzo di voti emessi (su circa cinque milioni di aventi diritto) con una stragrande maggioranza a favore del  sì. Circolano storie pittoresche, di urne (di fabbricazione cinese) nascoste nel luoghi più impensati, persino nei loculi di un cimitero, per evitare le perquisizioni in corso da diverse settimane e poi tirate fuori all’ultimo momento e scortate con un protocollo quasi religioso fino ai seggi.

Anche sulle cifre dei feriti, le versioni divergono: si parla di ottocento persone ferite nelle collutazioni: una cifra quasi analoga la attribuisce, con un evidente eccesso di patriottismo, il ministro degli interni alle forze dell’ordine. I “mossos d’esquadra”, la cosiddetta polizia “autonomica”, è stata invece a guardare. Come si è arrivati a questa situazione di un evento, il referendum,  che non si può liquidare esclusivamente sotto l’etichetta dell’ illegalità e con un alone inquietante di effetti secondari che hanno provocato una frattura tra le due parti assai difficile da ricomporre? A parte le note rivendicazioni della propria diversità che la Catalogna rivendica da sempre e che si è espressa, sempre civilmente, con manifestazioni che mobilitavano centinaia di migliaia di persone (fino ad arrivare ad un milione e mezzo) ed i rancori, a volte pittoreschi,  al punto da sfiorare il tifo che circola nel Camp Nou durante le partite fra il Barça ed il Real Madrid (non a caso Manuel Vázquez Montalbán  aveva definito il Barça come “l’esercito disarmato della Catalogna”), c’è stato un momento chiave  nella escalation del conflitto.

Nel gennaio del 2006, Mariano Rajoy, allora presidente del Partido Popular (il governo era allora guidato da José Rodríguez Zapatero)  iniziò la raccolta di firme (lo si poteva fare anche per internet) contro la presunta illegalità dell’Estatut d’Autonomia che regolava le competenze della Generalitat ed a cui si era arrivati attraverso faticose trattative e compromessi. Avallato da circa quattro milioni di firme, il PP  presentò un ricorso alla  Corte Costituzionale che lo accettò, procedendo a  “ritagliare”, come si diceva da queste parti, il testo elaborato.  Che  fu poi sottoposto, tramite referendum, ai catalani che lo approvarono a malincuore con un’astensione del cinquanta per cento.  La cosa curiosa è che il primo ministro Zapatero, in quel via vai di trattative, scavalcò l’interlocutore ufficiale, il Governatore della Catalogna e suo collega di partito, Pasqual Maragall, preferendo il più ‘tiepido’ e accomodante Artur Mas, avversario di Maragall nel parlamento catalano, e presidente, guarda caso, di una coalizione nazionalista (Convèrgencia i Uniò) che era stata al potere in Catalogna per decenni, fin dal ristabilimento della democrazia dopo la morte di Franco. C’è da notare che Artus Mas come il suo partito, non era mai stato a favore dell’indipendenza, ma si decise a cambiare rotta di fronte alle grandi manifestazioni popolari che andavano aumentando di anno in anno, decidendo, per così dire, di cavalcare la tigre.

Dal 2006  si passa al 2011, con la schiacciante vittoria alle elezioni politiche del Partido Popular che ottiene la maggioranza assoluta. Con il PP al potere, guidato da Mariano Rajoy, la situazione si è andata progressivamente inasprendo fino all’attuale “choque de trenes” (scontro frontale ) che può avere conseguenze imprevedibili. In mezzo a due classi politiche che lasciano molto a desiderare, si trova il popolo catalano che, con ostinazione e grande dignità prosegue la lotta per i propri diritti.  Mentre la polizia spagnola faceva sfoggio  della sua ‘professionalità’, il coro del Teatro del Liceu, schierato sulla Rambla, intonava il  “Va pensiero…” del Nabucco di Giuseppe Verdi.

 

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