Dalle dichiarazioni ufficiali emerge poco o nulla su quello che sarà il futuro delle relazioni tra la Manodori e Unicredit. In realtà la visita di ieri dell’amministratore delegato della banca Federico Ghizzoni, al di là delle parole fumose pronunciate a beneficio della stampa, ha uno scopo ben preciso: fare pressione sul presidente Gianni Borghi e sul consiglio affinché sia accolta la richiesta di partecipare all’aumento di capitale. Un’opzione che ha fatto sobbalzare partiti (tutti, con l’eccezione del Pdl), istituzioni e chiunque abbia un’idea di ciò che è accaduto negli ultimi 12 anni.
All’incontro erano presenti Donato Fontanesi, membro del consiglio d’amministrazione di UniCredit, e Gabriele Piccini, Country Chairman Italia.
“La nostra provincia, – ha detto Borghi – in cui UniCredit ha un forte radicamento, è stata investita dalle ricadute della pesante congiuntura economica e finanziaria internazionale. Reggio Emilia ha una spiccata vocazione all’export e, mai come ora, è importante che un grande gruppo bancario come UniCredit metta a disposizione strumenti finanziari flessibili e adeguati a problematiche complesse. Abbiamo chiesto alla banca un impegno ancora maggiore per rispondere alle necessità del territorio. In un momento come questo è importante mettere in atto strategie e progetti che possano accompagnare la ripresa produttiva delle nostre imprese, favorire l’occupazione e fornire un sostegno a tante famiglie reggiane che stanno affrontando cassa integrazione, disoccupazione e mobilità”.
Quello che Borghi non ha detto è che la scelta di aderire alla ricapitalizzazione porterebbe la fondazione ad indebitarsi con le banche fino a un massimo di 35 milioni di euro (il massimo consentito dalla statuto) e a utilizzare poi un contratto “call” per rivendere le azioni (entro dieci mesi allo stesso prezzo di mercato acquistate): un’operazione rischiosa visto l’andazzo dei titoli della banca di riferimento. Il presidente non spiega nemmeno cosa intenda per “strumenti finanziari flessibili e adeguati a problematiche complesse”. E non aiutano a fare chiarezza nemmeno le parole di Ghizzoni.
“Nell’incontro di questa sera (martedì n.d.r) abbiamo illustrato e approfondito con la Fondazione Manodori i contenuti del Piano Strategico 2011-2015 di UniCredit, che definisce le azioni su cui ci concentreremo nel corso dei prossimi anni per raggiungere l’obiettivo di essere una forte banca commerciale di dimensione europea, con una più solida base patrimoniale, una maggiore efficienza operativa e ritorni sostenibili. In Italia, ci poniamo l’obiettivo di aumentare i depositi alla clientela, continuando a dare sostegno all’economia reale. Nel nostro Paese, infatti, assicureremo supporto al credito per le imprese, che da qui al 2015 vedrà una capacità aggiuntiva di 33 miliardi. Nello stesso periodo per le famiglie italiane prevediamo una capacità aggiuntiva di quasi 40 miliardi”.
Anche se non c’è ancora la conferma ufficiale, l’orientamento del consiglio della Manodori è chiaro: accogliere in toto le richieste di Unicredit, contro il parere di partiti, istituzioni e associazioni di categoria. Le altre due ipotesi in campo, partecipare solo in parte all’aumento o non farlo per niente, sono infatti giudicate dai vertici della Manodori ancora più sconvenienti.
Noi ci limitimo a fornire un dato e lo faremo ogni volta che si parla del patrimonio della Fondazione Manodori, di banche e di investimenti in Borsa: in 12 anni sono andati in fumo 661 milioni di euro. Se nel 1999, anno della fusione con Bipop, il patrimonio era di 859 milioni, oggi è calato a 198. Si tratta di soldi della comunità. E nessuno dei responsabili ha ancora pagato il conto.