Il libeccio è un vento tipico delle regioni del Mediterraneo, proveniente da sud-ovest. È generalmente un vento umido e spesso porta piogge, soprattutto quando soffia su aree costiere. Si associa a condizioni atmosferiche instabili, poiché accompagna frequentemente perturbazioni atlantiche. Il suo nome deriva dal latino libica, riferendosi alla direzione verso la Libia.
Oltre al suo impatto climatico, il libeccio evoca metaforicamente anche le “tempeste” politiche e giuridiche. La recente vicenda legata al caso Almasri rappresenta un esempio significativo. La Corte Penale Internazionale (CPI) si occupa della Libia dal 26 febbraio 2011, quando il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha deferito all’unanimità la situazione libica alla Corte con la risoluzione 1970. Questo referral, dotato di rilevanza di jus cogens, ha consentito alla CPI di occuparsi di un Paese – la Libia – che non è parte dello Statuto di Roma.
Nel documento di referral, il Consiglio di Sicurezza sottolineava che gli attacchi diffusi e sistematici contro la popolazione potessero configurarsi come reati integranti crimini contro l’umanità. Nel corso del tempo, la strategia del Procuratore Khan è mutata, concentrandosi ora sul rafforzamento della collaborazione con le autorità libiche. Un aspetto centrale dell’indagine riguarda le stragi di Tarhuna, una città situata a circa 90 chilometri da Tripoli, dove sono state scoperte, grazie a rilevamenti satellitari, decine di fosse comuni.
Un elemento interessante di questa indagine è l’attenzione dedicata ai gravi crimini contro i migranti in Libia, una questione su cui la Procura della CPI si concentra almeno dal 2017 (come dichiarato nello Statement of ICC Prosecutor to the UN Security Council on the Situation in Libya del 14 maggio 2024). La terribile condizione dei migranti e rifugiati nei centri di detenzione libici, tra cui quello di Tarhuna, è da anni oggetto di numerosi report e denunce, incluse le conclusioni di una Fact-Finding Mission istituita dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU.
La “libecciata giuridica” che ha coinvolto il governo italiano in questa vicenda appare piuttosto singolare. È stato più volte sottolineato quanto sia insensato che il governo rivendichi una sorta di superiorità nazionale sugli aspetti di giustizia penale internazionale. Questo atteggiamento risulta ancor più incomprensibile di fronte a un referral del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che rappresenta un’autorità sovranazionale.
Il caso Almasri sembra essere il primo esempio di trumpismo giuridico all’italiana. Lo statalismo giuridico, alimentato da una visione ipernazionalista, resta un vizio difficile da superare. È altrettanto arduo, per alcuni esponenti politici, accettare la dimensione pluri-ordinamentale del diritto, di cui l’Italia è stata convinta sostenitrice fin dalla firma dello Statuto di Roma.
Tutto si conclude con un paradossale pasticcio, che ha finito per favorire un presunto criminale internazionale: “espulso” perché pericoloso, “espulso” addirittura con un volo di Stato. E una festa ad attenderlo all’aeroporto di Tripoli.
Nella foto il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi