Seconda incursione del Bar De Curtis nei filmoni di una volta, in attesa di qualche pellicola moderna (in)decente.
Regìa: Michael Curtiz
Top star: Humprey Bogart, Ingrid Bergman
USA 1942
Clint Eastwo… Ah, no, scusate, Humprey Bogart duro dal cuore tenero in una storia che non è difficile capire per quale motivo, nel 1942, abbia rubato la scena e vinto 3 Oscar (film, regìa e sceneggiatura non originale), visto che alla storia d’amore con Ingrid Bergman fanno da sfondo nazismo e venti di guerra.
La Bergman che emana luce nei primi piani è un espediente che fa sorridere ai giorni nostri, mentre è inspiegabilmente senza tempo il motivo per cui il super ricercato Victor Laszlo giri allegramente per i locali di Casablanca, dove si beve e si fuma che è una meraviglia, cosa che curiosamente oggi è bandita sul grande schermo. Ma la trama è solida e scene come quella in cui l’arroganza tedesca viene coperta dal canto della Marsigliese, all’epoca devono aver fatto saltare in piedi il pubblico.
Discutibile il finale e la ricerca dei soliti sospetti, discutibile pure che il pur bravo Bogart venga considerato un mito. E Al Pacino allora chi è? Dio?
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Titolo originale: Vertigo
Regìa: Alfred Hitchcock
Top star: Kim Novak, James Stewart
USA 1958
Che Sir Alfred Hitchcoock sia considerato il maestro del brivido lo si capisce dal finale di Vertigine (ci rifiutiamo di adottare la “traduzione” italiana del titolo), in cui il regista abbandona la macchina da presa a favore di una mannaia: lei si getta, lui osserva sgomento, arriva la suora, dice “Dio abbia pietà”, suona le campane e titoli di coda. Ma si può far finire così un film che oltretutto dura due ore? Non hai avuto fretta per un’ora e cinquantanove minuti, ok, poi cos’è successo? Chi ti correva dietro? Mistero.
Vertigo per il resto è un gran bel film (infatti non ha vinto neanche un Oscar), sorretto nelle parti lente dalla colonna sonora. Ma il finale non è mai un dettaglio.
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Quarto potere
Titolo originale: Citizen Kane
Regìa: Orson Welles
Top star: Orson Welles
USA 1941
Inglese-Italiano, lezione numero due. Vertigo si traduce con “La donna che visse due volte”, Citizen Kane con “Quarto potere”. Non si finisce mai di imparare.
Considerata l’età, il film di e con Orson Welles – la scalata al potere e il potere dei media – è avanti anni luce (strameritato l’Oscar alla sceneggiatura non originale), anche da un punto di vista della tecnica e delle riprese, che ancora oggi fanno scuola. Ma passando al contenuto: quando si parla di giornalismo, cinismo e scrupoli bene, quando ci si sposta sulla vita privata del protagonista, il ritmo cala parecchio. Inquietante la somiglianza di Welles con Marlon Brando in versione Padrino.
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Sentieri selvaggi
Titolo originale: The Searchers
Regìa: John Ford
Top star: John Wayne
USA 1956
Inglese-Italiano, lezione numero tre. Vertigo si traduce con “La donna che visse due volte”, Citizen Kane con “Quarto potere”, The Searchers con “Sentieri Selvaggi”. Tutti a scuola, sperando che sia chiusa.
Qui però c’è tutto: grandi distese, panorami mozzafiato, colori caldi al limite dell’incandescente, cowboy, comanche, il duro (John Wayne). Manca solo la storia avvincente: forse lo era all’epoca; oggi, dopo i western tarantini ani, lo è decisamente meno. Buona la premessa, un po’ troppo lunga la ricerca della ragazzina rapita dalla tribù. Wayne comunque regge alla grande per carisma a volontà, e il suo personaggio è fortunatamente pure politicamente scorretto. Confezione da applausi, sostanza così così.