Firenze – Abdullahi ha 31 anni, è sposato, ha un bambino. Gode di un ottimo lavoro, che gli permette di offrire fino a 800 euro per un affitto. La sua storia, cominciata in Sicilia quando aveva 12 anni, in fuga dalla guerra somala, lo ha portato a concludere un percorso straordinario di integrazione e formazione che, grazie alle sue capacità e volontà, lo vede, padrone di sei lingue, cameriere di sala nello storico Hotel Cellai a Firenze. Tutto bene? No, per niente. Perché Abdullahi è costretto a vivere, pagando regolarmente oltre 500 euro al mese, in un seminterrato, tre stanze appunto, con le pareti che trasudano acqua quando si accende il riscaldamento. Il cuscino su cui appoggia il capo la notte per dormire è marrone di umidità. La giacca lasciata appesa all’appendiabiti per qualche giorno si copre di macchioline bianche di muffa. Sua moglie e suo figlio, non potendo vivere in quel luogo, sono stati costretti ad andare a vivere nella patria natia di lei, che è cittadina svedese, con radici somale. Per quanto riguarda Abdi, come lo chiamano famigliarmente all’albergo in cui lavora e fra i suoi amici, il suo datore di lavoro, presosi a cuore la storia, gli ha lasciato una camera in cui dormire nella struttura alberghiera per permettergli di trascorrere la notte all’asciutto. Abdullahi non ha mai saltato un pagamento.
Ci sono alcune domande, che sorgono “spontanee”, come direbbe qualcuno, di fronte a questa storia. In primo luogo, come sia possibile affittare luoghi così evidentemente contrari alla salubrità dell’abitazione, o almeno alla sua abitabilità. In secondo luogo, perché Abdullahi, che non ha soverchi problemi nel pagare un affitto, non se ne va, cercando un’altra soluzione. In terzo luogo, come mai un sistema che ha permesso al ragazzo di integrarsi perfettamente formandolo e dandogli gli strumenti per rifarsi una vita dignitiosa, cada così fragorosamente per quanto riguarda la casa.
Intanto ripercorriamo le tappe della vita di Abdulahi. Giunto in Sicilia a tredici anni non ancora compiuti, viene preso in carico da una struttura di Licata dedicata ai minori. Comincia la sua fase di formazione sia per quanto riguarda la lingua e la cultura del nuovo paese che l’ha accolto, sia per quanto riguarda il lavoro. Il suo primo impiego, piegatore di camicie in un grande supermarket. La sua formazione prosegue e passa attraverso un corso di giardinaggio dapprima, poi, con un trasferimento a Narni, Abdi trova lavoro presso la Thyssen Group di Terni. Lavoro duro, quello dell’acciaieria, che dura finché per ragioni di sicurezza lo stabilimento viene chiuso. In quel momento, spiega Abdi, qualcuno mi dice: “Ma perché, sapendo sei lingue, non ti specializzi nel turismo?”. E’ la svolta. Abdi viene a Firenze, frequenta un corso della Qualitas dedicato ai servizi al turismo, comincia quasi subito a lavorare, presso l’Hotel Cellai. Cominciano i primi contratti a tempo determinato. Il ragazzo è bravo, ci sa fare con i clienti, ha quella qualità innata di essere cordiale e accogliente ma rispettoso e non invadente con le persone. Una dote che sinteticamente si può riassumere con una parola: professionalità. Non solo: con la sua formidabile conoscenza delle lingue, fra cui arabo e svedese, mette immediatamente a proprio agio la clientela straniera. Il proprietario lo assume a tempo indeterminato, con un incarico che la dice lunga sulla sua capacità di relazionarsi con i clienti: cameriere di sala.
Buono lo stipendio, ottimo il rapporto col proprietario. Sembrerebbe tutto a posto. Abdi si sposa, nasce un figlio. Ma quelle tre stanze nel seminterrato, tinteggiate di fresco dall’inquilino precedente, che sembravano così accoglienti, rivelano ciò che sono: un seminterrato, appunto, a pochi metri dalle pareti del quale scorrono, a detta della gente del posto, acque sotterranee. Un seminterrato umido in cui non è possibile vivere a lungo. Così, la decisione di Abdi è quella più sensata: cercare un altro alloggio meno malsano. Grazie anche all’aumentata capacità di spesa, pensa che tutto sommato sia semplice. Ma non è così. Nessuno sembra disposto ad affittare a quel ragazzo gentile, con un contratto molto buono, con un proprietario pronto a dargli una mano. La ricerca diventa sempre più pressante, ma niente. Le poche risposte positive sfumano. La moglie, per salvaguardare il bimbo che nel frattempo è nato, torna in Svezia: almeno abitano in una casa “normale”. Ovvero, di quella normalità cui tutti dovrebbero essere titolati, nell’abitare. Si insinua anche il dubbio che sia la pelle nera di Abdi, l’ostacolo. Intanto, mentre dorme nella stanza dell’hotel dove lavora, perlomeno all’asciutto, pur continuando a pagare l’affitto, continua a cercare una casa.
Le tre domande intanto restano inevase. La prima, come sia possibile affittare come abitazione civile luoghi inadatti e pericolosi per la salute senza aver proceduto prima a una sistemazione che li renda atti all’uso abitativo, la giriamo nuovamente (Stamp fece un servizio dieci anni fa su questo, ma non ottenne mai risposta), alle istituzioni locali e non. La seconda, perché Abdi non cambia casa, ha avuto una sia pur parziale risposta da quanto raccontato; la terza, ovvero la completa assenza del sistema sul problema casa, la giriamo a Pietro Pierri, segretario regionale dell’Unione Inqulini toscana, che ha preso in carico la storia.
“Una storia simbolica, quella di Abdi – dice Pierri – che illustra intanto come si debba sfatare la narrazione che vede i migranti come una massa di profittatori dell’ “ospitalità” italiana, scarsamente desiderosi di lavorare. Il caso di Abdullahi vede un percorso regolare, con tanto di formazione, che poi si arresta sul fronte della casa. In sintesi, il lavoro è stato costruito con la formazione, ma sulla casa non si riesce ad avere una corrispondenza. Dopodiché, resta da analizzare anche il motivo per il quale non si trovano altre abitazioni, pur di fronte a un buon contratto regolare e ben retribuito. Un caso probabilmente esemplificativo di mille altri casi, che abbiamo voluto portare all’attenzione pubblica in quanto si tratta di una situazione da attenzionare: E’ necessario infatti che venga fatta la ricognizione del patrimonio, che non sia data la possibilità di adibire a uso abitativo seminterrati e alloggi impropri del tutto malsani, e che in ispecie vengono affittati a persone provenienti dall’estero, come spesso è dato vedere. Si insinua il dubbio che ci sia anche un aspetto di profittamento”. Una situazione che non esclude affatto, come spesso documentato anche su queste pagine, che italiani e fiorentini non possano incapparvi. Ma semplicemente, è più facile, per fragilità di situazioni economiche, giuridiche ed esistenziali che li mettono sotto scacco, che questo tipo di situazioni gravino su cittadini stranieri. Ma la domanda generale è: com’è spiegabile il ritardo e la negligenza cui soggiace il problema forse più deflagrante che emerge in questo momento dal tessuto sociale, ovvero il problema dell’abitare?