Firenze – La seconda parte del tentativo di mettere un punto a una questione così complicata e in evoluzione come quello dell’abitare a Firenze fa emergere alcuni dati da non sottovalutare, fra cui il mutamento della composizione di chi si trova alle prese con l’emergenza. Se nella puntata precedente Stamp ha preso in considerazione soprattutto la legge del Piano Casa del governo e il concetto della “morosità incolpevole” su cui si fonda la maggioranza assoluta degli sfratti, in questa si cerca di dar conto anche di quelle situazioni più “border line” che rischiano per questo di essere o sottovalutate, o al contrario ingigantite per essere agitate come spauracchio, alibi per risposte meno “sociali” e più “repressive”.
A testimonianza della vera e propria bomba a orologeria sociale che è la questione abitativa anche a Firenze, in queste ultime settimane sta scoppiando in tutta la sua gravità il caso di via Castelnuovo Tedesco. Un affaire dai contorni ambigui, dal momento che il conduttore della struttura (e dunque degli appartamenti) è il Comune di Firenze. Ed ecco la questione. Nel 2005 il Comune di Firenze dette vita a un bando per accedere ad affitti a canone agevolato. Le unità immobiliari erano costituite da circa 90 alloggi privati affittati dal Comune e ”girati” in subaffitto alle famiglie vincitrici. Il bando era stato pensato dal comune per la cosiddetta “fascia grigia”, vale a dire quella fascia sociale che non aveva i requisiti per accedere ai bandi Erp ma neppure gli stipendi necessari per restare nel mercato privato dell’affitto. Qualcosa tuttavia non funzionò. Infatti, le famiglie si trovarono stritolate da una tenaglia micidiale: da un lato, il salire vertiginoso del canone (gli inquilini parlano di 7-800 euro per un bilocale e 900 euro per tre camere, mentre i costi di condominio sono sempre più inarrivabili) dall’altro la crisi che sopraggiunse a togliere respiro e soldi dai portafogli delle famiglie. Così, cominciarono a giungere i primi sfratti per morosità, e, nonostante vari incontri, si giunse (a giugno scorso) all‘autoriduzione. E intanto cominciano ad arrivare le esecuzioni degli sfratti con forza pubblica.
Insomma, nonostante (e in alcuni casi, almeno a detta dei sindacati inquilini, proprio a causa) del Piano Casa, le cose continuano a complicarsi. Ad esempio, uno dei risvolti del famoso art.5 (quello che fra le altre cose ha consentito ultimamente di operare il distacco delle utenze all’hotel Concorde occupato nonostante la presenza di numerosi minori) è quello della residenza. Residenza che diventa un rebus, per molta gente, a cominciare, come informano i sindacati, dagli stessi famigliari costretti dalle circostanza a tornare in casa con i genitori. Un problema sempre più sentito, che riguarda anche gli assegnatari di edilizia popolare. Infatti, è sempre più frequente che coppie giovani, che pagavano l’affitto con relativa tranquillità, in seguito alla perdita del lavoro di uno dei due siano costretti a tornare alla famiglia di origine, magari separandosi anche se solo fisicamente. Di solito capita che la mglie e i figli vadano a vivere nella famiglia d’origine della donna, mentre il marito torna alla propria. Se ci sono assegnatari, ad esempio i genitori di un componente della coppia, spiegano i sindacati, è necessario richiedere, per prendere la residenza, l’inserimento dei nuovi arrivati nel nucleo famigliare dell’assegnatario. E se anche per ora sembra che problemi non siano sorti, dal momento che l’anagrafe è generalmente “comprensiva”, il rischio è che, in 45 metri quadri, finiscano genitori, più figlia- mamma con due figli. E lì potrebbe anche scattare il divieto in quanto non c’è lo spazio previsto da legge. E comunque, senza residenza non si può avere acqua, gas, luce. Non si esiste. Insomma, i tranelli sono numerosi e ben distribuiti, e spesso non è la sola mancanza del tetto sulla testa a essere causa di disagi profondi.
Un altro problema, sempre strettamente concernente la crisi, è dovuto al calare delle retribuzioni, cui, non consegue un contemporaneo calare (specialmente a Firenze) degli affitti. Ne è riprova la battaglia che sta portando avanti un po’ tutto il settore di tutela degli inquilini dal momento che, come riporta il Movimento di Lotta per la Casa di Firenze che cita dati pubblicati da Repubblica due settimane fa, i salari netti mensili medi sono stati nel 2013 di circa 1327 euro. “Quelli fortunati – dicono dal Movimento – ci sono sei o sette milioni di persone che campano con un guadagno mensile di meno di mille euro al mese”. Come i lavoratori, e ce ne sono, che prendono 300 o addirittura 200 euro mensili. Di fronte a questo impoverimento vertiginoso, come si fa a pagare affitti che rimangono sulla soglia di 600-800 euro? Citando uno slogan dell’Unione Inquilini di qualche anno fa, “o pagare o mangiare”. E le cose non sono certo migliorate negli ultimi tempi.
Dunque, l’unica risorsa cui una gran parte della fascia della popolazione che mediamente prende uno stipendio pari o al disotto di mille euro al mese, impossibilitata a stare sul mercato privato, guarda è l’Erp. E soprattutto, il nuovo bando che a brevissimo dovrebbe essere riaperto. Una promessa e una necessità e sui motivi per cui ancora non è stato bandito, interviene Funaro: “Vogliamo aspettare i nuovi criteri. Certo, se non verrano varati in tempi ragionevoli, allora lo faremo comunque, magari “aperto” …. “ “Circa i criteri?” “Sì, circa i criteri”.
E oltre a questo? Il Sunia risponde con un’altra domanda rivolta all’amministrazione: “Visto che il 28 agosto scadeva il termine dato dal governo di presentazione di progetti di riconversione per le caserme, che potevano usufruire di fondi del governo centrale, è stato presentato un progetto per la Caserma dei Lupi di Toscana, che è già nella disponibilità del Comune? E per l’ex Casa albergo Poste italiane di via Chiusi? Specialmente per quanto riguarda la Caserma dei Lupi di Toscana– fanno notare dal Sunia – potrebbe risolvere gran parte dell’emergenza abitativa fiorentina”. Tranchant l’assessore sulla questione della Casa Albergo delle Poste: “Non siamo noi i proprietari – dice, riferendosi all’amministrazione – lì non possiamo fare niente”.
Infine, esiste un’altra grande platea di “invisibili”, centinaia o forse più, e sono coloro che vivono nelle occupazioni. A darne conto, il leader storico del Movimento di Lotta per la Casa, Lorenzo Bargellini: “Gli stabili occupati in città sono attualmente 18, alcuni anche da oltre 100 persone, uomini, donne e bambini”. All’interno, ci sono molte tipologie: da chi ha fatto il bando ma non ha un posto dove stare nel frattempo, a chi non l’ha fatto per mancanza di requisiti, a famiglie di richiedenti asilo a rifugiati più o meno “in regola”, scappati dalle varie guerre che insanguinano il Mediterraneo. Rumeni l’ultima ondata, che si sovrappongono a tutti coloro che vengono, vanno, restano sovente impigliati nei patti europei, che costringono il Paese d ‘arrivo a farsi carico di chi arriva. Nonostante molti abbiano parenti ad attenderli al di là delle Alpi, o amici, o una comunità già stanziata. Molti anche gli italiani, magari finiti lì perché teporaneamente non hanno un tetto sotto cui stare, e in attesa o per disperazione chiedono “asilo” nei luoghi occupati. Ma per tutti, italiani e stranieri, la cifra comune è l’assenza non solo di casa, ma spesso di prospettive, anche se non sono pochi a fare qualche lavoretto, qualcuno anche stabile. Ma si torna lì: cosa si affitta con 500, 600 euro di stipendio e magari con moglie e figlio a carico? Un problema che si interseca e si somma a quello, diciamo così, riconoscibile e con contorni meno sfumati, in un certo senso “istituzionale”. Spiega un ragazzo italiano, separato, che ha lasciato l’abitazione alla moglie a cui corrisponde metà del suo stipendio di manovale (quando lavora) per il mantenimento suo e del bambino : “Non ho altra possibilità” e indica l’occupazione alle sue spalle. “Almeno per ora” conclude.