Firenze – La città sotto sfratto, ma non si sa quanti sono, esattamente, gli sfratti. La corsa al bando Erp, con una grande partecipazione soprattutto di lavoratori poveri, mediamente sui trent’anni, costretti ad abitare in situazioni abitative di forte disagio, con affitti altissimi, tali da mangiare ben oltre il 50% del reddito familiare, candidati allo sfratto per morosità. In tutto questo, alle porte con l’ultimo step dello sblocco degli sfratti che avverrà a gennaio, ancora ben lungi dalla messa in atto concreta del tavolo per il disagio abitativo, la cui indicazione, in particolare rivolta alle città con forte tensione abitativa, dunque in primis alla città metropolitana, era partita dalla Regione.
Il quadro della situazione abitativa di Firenze e hinterland è desolante, come riassume la segretaria regionale del Sunia Laura Grandi. “Dai dati che stiamo via via rilevando dopo l’apertura del bando Erp – dice Grandi – ciò che emerge è che, a fronte di sfratti ormai tutti per morosità, c’è un numero prevalente di giovani coppie sui trent’anni circa di età che, pur lavorando, non riescono a fare fronte ai canoni. Non solo. Gli alloggi affittati spesso si trovano in scantinati malsani o sono strutture vecchie e a un passo dall’essere fatiscenti”. Il vero problema che sembra emergere è che gli alloggi migliori, sistemati a dovere, prendono altre direzioni e, nonostante la pandemia, si collocano nel novero degli affitti brevi. Il rimanente viene destinato all’affitto residenziale, con canoni che sfiorano addirittura i mile euro al mese. Troppo, per quella fascia di lavoratori poveri afflitti da stipendi bassi, che non permettono loro di affrontare con tranquillità il problema casa. Tant’è vero che sono loro, in grande numero, a ricorrere alla domanda della casa popolare.
Ma ciò che preoccupa ancora di più, se possibile, i sindacati, è anche un profilo che ha molto a che fare con la calendarizzazione degli sfratti. Una questione che sembrava quasi risolta, negli ultimi tempi della prefetta Guidi, con l’insediamento della commissione per il disagio abitativo, che prevedeva, secondo quanto stabilito dalla Regione, un tavolo cui sedessero oltre ai sindacati inquilini, comune, prefettura, corte d’appello. Quest’ultima infatti ha la lista degli sfratti operativi, ma ad ora nessuno è in grado di averla. Un problema, perché la ratio che muove la creazione di questo strumento, come spiega Laura Grandi, è quella di non trovarsi in emergenza tutte le volte che si arriva all’esecuzione dello sfratto. Si ricordano anche casi al limite del paradossale, come due ultime vicende che hanno visto le famiglie “sorprese” dall’arrivo dell’ufficiale giudiziario con forza pubblica, dal momento che la notifica non era stata consegnata, in quanto il foglietto che viene rilasciato in caso di assenza della famiglia era stato disperso e dunque l’avviso non era arrivato a buon fine.
“La commissione che dovrebbe occuparsi della calendarizzazione degli sfratti – spiega Grandi – assolve a varie funzioni, fra cui quella di poter valutare i casi via via che si presentano, con un congruo intervallo temporale per poter predisporre delle soluzioni abitative, o aiuti di qualche genere, per le famiglie sfrattate. Non dimentichiamo che ormai si tratta quasi esclusivamente di sfratti per morosità, che potrebbero essere analizzati per trovare soluzioni che evitino di far piombare gli sfrattati nell’emergenza”. Insomma il principio del famoso passaggio da casa a casa, o perlomeno di prospettare una soluzione diversa rispetto alla strada alle famiglie che incappano nella morosità, può venire assolto solo se si è in grado di utilizzare uno strumento che dia la possibilità di analizzare la situazione per tempo e caso per caso. Come potrebbe essere, appunto, una calendarizzazione delle uscite.
“Il meccanismo è semplice – conclude Grandi – e viene da chiedersi perché, anche sulla scorta dell’indicazione regionale, non viene messo in atto. Forse si ritiene che il problema non sia così grave, o forse che sia possibile continuare a gestirlo all’impronta. Mi permetto di osservare che a gennaio, con il defintivio sblocco degli sfratti, la situazione si aggraverà ulteriormente, in particolare sotto il profilo dell’emergenza. Dunque, la vera domanda è: perché la commsssione per il disagio abitativo non viene messa in funzione? Si tratterebbe, tra l’altro, di uno strumento che andrebbe a giovamento anche del Comune e dell’ufficio casa, dal momento che darebbe, una volta per tutte, l’esatta dimensione del fenomeno e una lettura tecnica, sui dati, della situazione corrente, che potrebbe anche riservare qualche sorpresa”. Ricordiamo che, secondo una proiezione delle stime dei sindacati degli inquilini, gli sfratti a Firenze potrebbero arrivare a oltre 100 al mese.