Enrico Letta ha dichiarato a “DiMartedì” che vuol fare un partito di prossimità. Mi sembra idea ottima. Però.
Però il partito di prossimità non è il partito delle attuali sezioni/Circoli, come invece erano i partiti popolari nei primi decenni del dopoguerra, quando i loro iscritti erano uno spaccato della società e bastava riunire le sezioni per auscultare l’umore del paese. Oggi non è e non può realisticamente più essere così, per mille ragioni che sappiamo bene.
E allora come si fa a conoscere il sentiment di chi sta fuori dai Circoli?
Bisogna andare tra le gente “nei suoi luoghi”, cioè negli ambienti in cui vive e che frequenta.
Chi deve andarci? I dirigenti del partito, a partire dai suoi professionisti: parlamentari, consiglieri regionali, amministratori locali. Un esercito di alcune centinaia di dirigenti, pagati proprio perché ricoprono incarichi pubblici, conosciuti e riconoscibili, educati a stare in mezzo alla gente, a sopportare insulti e spintoni, a dare pazientemente spiegazioni su tematiche che si sono preventivamente studiate, studiate mi permetto ripetere.
Dove? Nelle piazze, nelle aziende, nelle università, in tutti i luoghi in cui normalmente si incontra la gente “normale”. Dirigenti che, in quanto professionisti, sono tenuti a stendere periodicamente un report degli incontri effettuati.
“Di prossimità” significa che se vuoi conoscere ad esempio il sentiment degli artigiani (o dei commercianti, o dei coltivatori diretti, o del piccoli industriali,…) non devi incontrare solo la dirigenza della tale o talaltra associazione di categoria, ma devi incontrare i singoli operatori perché il sentiment (cioè l’umore e lo stato d’animo) non è oggetto di rappresentanza.