Firenze – Carmen non deve morire. Ma neppure deve diventare la vendicatrice sanguinaria dell’uomo prepotente e assassino. E in ogni caso è lecito intervenire su capolavori di qualunque genere artistico per piegarli alle esigenze sociali del momento?
Di fronte alle perplessità del popolo della cultura e alle riserve di chi giustamente sta attento al contenuto etico dei messaggi elaborati dalla società della comunicazione, era davvero un compito arduo quello di Leo Muscato, regista dell’allestimento dell’opera di Georges Bizet presentata ieri al teatro del Maggio Fiorentino in prova generale aperta a un pubblico di esperti e di militanti sul fronte della lotta alla violenza di genere.
Eppure Muscato ci è riuscito. Carmen non cade vittima della sua natura libera e sincera, ma non si trasforma in un simbolo della rivolta sanguinosa delle donne contro i maschi. Don José muore, ma non rappresenta il drago domato della crudeltà maschile. Al contrario si trasforma in un personaggio catartico. Con la sua fine in qualche modo redime il genere maschile, quando attraverso Carmen si infligge la punizione per la sua mancanza di carattere, in poche parole per non essere stato all’altezza della sfida dell’estremo femminino.
Al di là dell’obiettivo comunicativo che si erano proposti i promotori dell’operazione “Carmen non muore” , prime fra tutti le donne del Maggio Musicale Fiorentino, al critico e in generale all’appassionato dell’opera lirica interessa soprattutto la qualità artistica dell’intervento su un caposaldo della cultura musicale popolare. Cambiarne il finale può equivalere a una provocazione sacrilega.
Lo scetticismo era più che fondato: come si può stravolgere una conclusione tragica verso la quale lo spettatore è emotivamente spinto dal libretto di Henri Meilhac e Ludovic Halévy tratto da Carmen di Prosper Mérimée e la musica di Bizet?
Durante la rappresentazione, lo scetticismo è andato gradualmente dissolvendosi. Intanto, di eroine che uccidono il maschio violento e sopraffatore è abbastanza ricca la tradizione operistica. Una su tutte, Tosca che sottovaluta la crudeltà di Scarpia e lo uccide per salvare il suo onore e il suo amante. Ci sono poi le donne assassine per procura come Lady Macbeth, o per interesse, gelosia e vendetta come Velma Kelly e Roxie Hart nel musical super pop Chicago.
Ma Carmen è un personaggio diverso. Non vuole compromessi: colui che la ama deve essere disposto ad abbandonare tutto il resto del mondo femminile, la madre e l’aspirante fidanzata, comprese le rassicuranti certezze di una carriera militare. Se non accetti o ti dimostri di non essere all’altezza, la pena è una sola: devi andartene.
Spinto da una passione selvaggia il brigadiere don José sceglie per amore una vita che non è la sua, da sbirro a criminale, e in questo modo firma la sua rovina. Si arriva così al quarto atto, il compimento della tragedia.
Muscato ha trovato una soluzione tutto sommato convincente. Intanto è evidente che Carmen si trova in una situazione di imminente pericolo di vita e dunque è ragionevole che tenti di difendersi. Ma non si tratta di un caso di legittima difesa: don José ha fatto in modo che Carmen avesse la possibilità di impadronirsi della sua pistola prima di scagliarsi contro di lei con il coltello. In una parola ha predisposto le condizioni per la sua condanna a morte, punizione estrema per le sue scelte rovinose assai più che l’arresto per l’omicidio di una zingara.
Ne rimane stravolta e violentata l’opera di Bizet? No, perché tutto il contesto e i riferimenti culturali restano in piedi: Carmen è un’opera di “lindas mujeres, sangre y amor”. Sangue e passione, dunque, prove di coraggio e battaglie tra maschi per la conquista della femmina. Il sangue è di un uomo, ma è sempre lui che ne decide la causa.
Una certa ridondanza evitabile, tuttavia, va segnalata. Nella scena finale sullo sfondo appare Escamillo, il rivale di don José, appeso a una corda, incornato dal toro, come a segnalare la débacle finale di tutti i maschi che pensano alla donna coma a un oggetto di proprietà del quale si può fare quello che si vuole.
Per il resto gli spettatori che da domenica 7 a giovedì 18 gennaio si recheranno al Teatro del Maggio Fiorentino per assistere alla Carmen, potranno godere di una interpretazione perfettamente equilibrata e coerente. la Carmen di Muscato, del direttore Ryan McAdams, dello scenografo Andrea Belli e della costumista Margherita Baldoni è ambientata nei pressi e all’interno di un campo di zingari più o meno alla prima metà del secolo scorso, quando ancora in Spagna le corride non erano contestate e i toreri erano eroi popolari.
Sui cantanti e sulla direzione musicale n0n è opportuno qui dare giudizi, trattandosi di una prova sia pure generale. Ma Veronica Simeoni (Carmen), Laura Giordano (Micaela) e Roberto Aronica (Don Josè) hanno onorato al meglio una prova generale che assomigliava moltissimo a una vera anteprima.