Cristiano Cristiani
Leggenda narra che Alfred Nobel non volle istituire un premio per la matematica perché un dì sorprese la propria moglie in compagnia di un professore intento a impartirle particolari lezioni. Il mito, in effetti, poggia su traballanti basi, anche perché notoriamente i matematici considerano le donne come unità carbonio difficilmente modellizzabili. Fatto sta che esiste un Nobel per l’economia e non uno per la matematica (il suo più importante surrogato è la medaglia Fields). Come possa esistere l’una senza l’altra rimane un mistero, ma il signor Joseph Stiglitz il Nobel per l’economia l’ha vinto e in un Paese come il nostro, fitto di cav. e Grand uff. e comm. e dott., un titolo come quello è avvertito come indizio di straordinaria competenza.
Il nostro premier Monti, di contro, non si fa certo intimidire. Egli è di casa, nell’economia che conta. Ha avuto Tobin come professore (altro Nobel e famoso per la tassa omonima), e si rivolge al signor Stiglitz con un fraterno ‘Jo’. Questi due mostri sacri della moneta (Monti e Stiglitz) si sono incontrati a Roma per un confronto pubblico sul tema povera Italia, povera Europa. Il Primo Ministro ha illustrato le manovre di risanamento, mentre l’americano storceva il naso perplesso. Stiglitz, forte del suo illustre premio, si permette di contestare il fatto che alzando le tasse e impostando una politica di austerità, si possa ottenere un effetto positivo sulla crescita economica di una nazione. Anzi, specifica, nessuna grande nazione europea ha mai risolto così alcuna crisi e insiste sul fatto che ci si debba aspettare solo un peggioramento delle condizioni sociali.
Monti, pur non avendo vinto nemmeno una Champions League, dissente fermamente. Il premier parla di un necessario attacco alle “rigidità cristallizzate” e di un urgente ricorso a un “policy making” che verta esclusivamente a una crescita autoreferenziale dell’economia comunitaria. Bene, constatata l’innata capacità di Monti di dare un nome sexy a cose altrimenti sgradevoli, va riconosciuto che queste rigidità cristallizzate esistono eccome. Ne ha dato prova egli stesso non riuscendo a scalfirne nemmeno una nonostante diversi tentativi. Leggasi taxi, farmacie, slot machines (e questi sono i problemi minori).
Il più duro dei cristalli è sicuramente il mercato del lavoro. Anche questa riforma è stata decisamente contestata dall’economista americano, ma il buon Monti risponde colpo su colpo e porta ad esempio la realtà statunitense, in cui, a suo dire, un mercato ampiamente flessibile ha comunque conosciuto momenti di crescita zero. Il discorso è vagamente capzioso: è un po’ come dire che il mio dopobarba tiene lontane le tigri e dimostrarlo facendo notare che non c’è nemmeno una tigre in giro. La realtà è che una vera riforma del lavoro è ben lontana dall’essere attuata. Sicuramente anche a causa delle cristallizzazioni di cui si parlava. Lo stesso Monti, consapevole di ciò (perché non avrà vinto un Nobel ma non è certo uno sprovveduto) si affretta a smorzare gli entusiasmi chiedendo di non aspettarsi troppo dalle riforme strutturali. Questo atteggiamento di raffinata diplomazia politica (altrimenti conosciuto come “mettere le mani avanti”) è assolutamente comprensibile in un Paese ancora in balia di perniciose inerzie ideologiche. Un Paese in cui la politica come espressione della volontà popolare è solo un vago ricordo. Dove i leader politici fingono di allinearsi al governo tecnico per senso di responsabilità, mentre il loro vero scopo è allentare la morsa mediatica e di massa dell’anti-casta.
In un Paese – e qui cito parole oltremodo sagge del nostro Primo Ministro “che rimane grandemente corporativo, c’è un rigetto di riforme che si sono lungamente invocate e che, dal momento in cui sono coglibili (sì, ha detto proprio coglibili, quindi niente candidatura al Nobel per la letteratura), vengono rigettate perché, forse, si pensa che sia meglio avere gli alibi per non fare che avere le opportunità di fare”. Questa è effettivamente una piaga italiana: il not in my backyard, perché dal mio barbiere tutti si lamentano, tutti dicono che “l’è tutto da rifare”, ma nessuno è disposto ad accettare un cambiamento che lo coinvolga.
L’incontro prosegue sul tema tasse. Monti sottolinea che invitare a non pagare l’IMU sia un atto inaccettabile. Per sovramercato, fa riferimento ai debiti della pubblica amministrazione nei confronti delle aziende italiane, sentenziando che l’onorare questi debiti (senza prima trovare una soluzione concordata a livello europeo) non farebbe che aumentare il debito pubblico. Detto in parole povere (sì, anche le parole), in nome dell’ossessione del pareggio di bilancio, i cittadini devono pagare tutto e subito, lo stato ci pensa su un po’.
Questa ossessione, figlia della mentalità tedesca, è l’emblema della politica economica di Monti. Una politica fortemente germano-centrica. Ciò che emerge da questo incontro romano infatti, è una triste realtà: le difficili e tortuose misure (sono già più di 800 gli emendamenti alla riforma del lavoro) in corso di attuazione, non basteranno, secondo lo stesso Monti, a garantirci una rapida inversione di tendenza. Dalle parole del primo ministro si evince una rassegnata remissione alla santa Germania, nella speranza che accetti di contribuire al futuro di noi italiani pizza e mandolino, centralizzando parti della sovranità monetaria della nostra nazione.
Le conseguenze di queste politiche economiche potrebbero significare un pesante impoverimento generalizzato e una recessione molto simile alle recessioni post belliche. Una guerra che ci vedrà sconfitti (e non sarebbe una novità), ma che vedrà la Germania trionfatrice e questa sì, sarebbe una scomoda novità.