Sovraffollamenti, spazi angusti e poche attività lavorative e rieducative, scarsità di educatori e suicidi in crescita. Il XIX rapporto dell’associazione Antigone illustra la drammatica situazione delle carceri italiane: 85 persone si sono tolte la vita nel 2022 (un record) e già 23 persone hanno fatto la stessa cosa nel primo quadrimestre di quest’anno. Non a caso, visto l’andazzo, aumenta il numero di richieste di risarcimento per detenzione in condizioni inumane. «Nel 35% degli istituti visitati c’erano celle in cui non erano garantiti 3 mq calpestabili per ogni persona detenuta, nel 12,4% c’erano celle in cui il riscaldamento non era funzionante. Nel 45,4% degli istituti vistati c’erano celle senza acqua calda e nel 56,7% celle senza doccia», scrive “La Stampa”. “Una donna su tre è autolesionista, e tra le sbarre si ferisce anche un uomo su sei”.
In effetti gli standard di dignità e diritti umani nelle carceri italiane sono ancora a livello di guardia. “C’è anche la stanchezza “penitenziaria” – la definisce così il presidente di Antigone Patrizio Gonnella – prodotta dalla mancanza di una visione, dall’immobilità, dalla solitudine degli operatori”. «È vietata la tortura» (il titolo del rapporto di Antigone) è stato scelto per ribadire un no categorico a qualsiasi ipotesi non solo di abolizione (come richiesto da Fratelli d’Italia), ma anche di modifica (lo ipotizza il ministro della Giustizia Nordio) del reato specifico introdotto nel 2017, a 28 anni dalla ratifica da parte dell’Italia della Convenzione Onu. Per Susanna Marietti, coordinatrice nazionale di Antigone «la legge risponde a un obbligo internazionale e di derivazione costituzionale. Abolirla sarebbe uno scandalo. Finirebbero con un nulla di fatto i processi per i fatti accaduti nelle carceri durante il lockdown, a cominciare dai pestaggi a Santa Maria Capua Vetere che vedono 100 imputati».
Gli istituti penali italiani sono obsoleti, in alcuni casi fatiscenti. Il 20% è stato costruito tra il 1900 e il 1950. Un altro 20% prima del 1900. I detenuti, poi, sono 56.674 (dato aggiornato al 30 aprile), a fronte di una capienza regolamentare di 51.249 posti, e questo vuol dire che ci sono 5.425 detenuti in più rispetto alla capienza massima. Già questo primo dato la dice lunga sulle condizioni di detenzione, come rileva Antigone nel suo nuovo e aggiornato studio, nel quale parla di «oltre 9mila persone in più rispetto alla capienza effettiva» poiché, ricorda, «ai posti regolamentari vanno però sottratti i posti non disponibili, che a maggio 2023 erano 3.646». Considerando i posti conteggiati e non disponibili, si legge ancora nel dossier, «l’affollamento reale è del 119%», a fronte di un tasso di affollamento ufficiale medio del 110,6%.
Sempre alta la presenza dei detenuti in custodia cautelare: 7.925, il 26,6% del totale, in calo (29,9% nel 2021, 40,8% nel 2011) ma più della media europea. Nel 2022 sono state 16.507 le persone che hanno atteso il processo agli arresti domiciliari, di cui 3.357 con braccialetto elettronico (2.208 nel 2021). Il 10% circa degli arrestati viene assolto o prosciolto. Crescono i condannati a pene brevi: dal 19,1 al 20,3% le condanne fino a tre anni (nel 2011 erano un po’ di più, il 28,3%). Parentesi: si registra una diminuzione drastica degli omicidi nel Belpaese: sono stati “solo” 314, mentre vent’anni addietro, nel 1991, erano stati 1.916. Attualmente – secondo Criminalpol – l’Italia ha un tasso di omicidi per 100 mila abitanti inferiore alla Germania e la metà di Regno Unito e Francia; meglio di noi solo Svizzera e Norvegia. I crimini più frequenti? Altri numeri-spia: sono 32.050 i detenuti per reati contro il patrimonio, 24.402 contro la persona, 19.338 legati alla droga, 9.302 reati contro la pubblica amministrazione, 9.060 quelli per mafia. E sono 740 i detenuti al 41bis (tra cui 12 donne), quasi il doppio rispetto a trent’anni fa.
Le regioni dove, a proposito del sovraffollamento, si registrano le situazioni definite «più preoccupanti» sono Lombardia (151,8%), Puglia (145,7%) e Friuli Venezia Giulia (135,9%), e per quel che riguarda i singoli istituti, i valori più alti si registrano a Tolmezzo (190,0%), a Milano San Vittore (185,4%), a Varese (179,2%) e a Bergamo (178,8%). Basti dire che rispetto al resto d’Europa, solo Cipro e Romania hanno tassi di sovraffollamento maggiori di quello italiano, osserva Antigone, sottolineando che invece «ci collochiamo al 36° posto per tassi di detenzione, ossia per numero di detenuti rispetto ai cittadini liberi, ovvero: incarceriamo meno di Francia e Spagna, ma più di Germania e Paesi nordici». I detenuti, a loro volta, «crescono circa 5 volte di più rispetto alla crescita dei posti: dal 30 aprile 2022 la capienza ufficiale è cresciuta dello 0,8%, mentre le presenze sono cresciute del 3,8%. È aumentato soprattutto il numero delle donne, cresciuto del 9%, mentre l’aumento degli stranieri, del 3,6%, è più o meno in linea con quello della popolazione detenuta complessiva». Inoltre, ed è un trend che fa pensare, è sempre più alta l’età media della popolazione detenuta: gli over 50 alla fine del 2022 erano il 29%, mentre una decina d’anni fa non superavano il 17%. Nello stesso intervallo di tempo sono poi raddoppiati gli over 70, passando da 571 (1%) a 1.117 (2%), mentre per gli under 25 la percentuale passa dal 10 al 6%, piccola consolazione.
I detenuti stranieri sono 17.723, il 31,3%, in calo del 5% rispetto al 2011. Quelli in custodia cautelare sono il 33,7% (rispetto al dato generale del 26,6). La maggior parte degli stranieri è condannata a pene brevi (il 42,4% deve scontare un residuo di pena inferiore a un anno), il 16,6% ha pene per più di 20 anni e gli ergastolani (stranieri) sono 123 su 1.865. Marocco, Romania, Albania e Tunisia le nazionalità principali; in calo romeni e albanesi.
Come dicevamo, ammontano a 23 i suicidi in carcere in questi primi mesi del 2023, mentre sono state ben 85 le persone che si sono tolte la vita all’interno di un istituto penitenziario nel corso del 2022 (su 214 morti totali), ovvero più di una ogni quattro giorni. E va detto, per farsi un’idea sulla gravità del problema, che negli istituti penitenziari i suicidi – leggiamo su “Left” – sono stati 23 volte superiori rispetto ai suicidi in libertà. Delle 85 persone suicidatesi, poi, cinque erano donne… e 36 erano straniere, 20 delle quali senza fissa dimora. L’età media? 40 anni. La persona più giovane era un ragazzo di 20 anni, la più anziana un signore di 71. E ancora: la maggior parte di queste persone (50, ossia quasi il 60%) si sono tolte la vita nei primi sei mesi di detenzione. Addirittura 21 nei primi tre mesi, 16 nei primi dieci giorni e 10 entro le prime 24 ore dall’ingresso in carcere. Delle persone morte per suicidio nel 2022, 28 avevano precedentemente messo in atto almeno un tentativo di suicidio, e in sette casi “più di un tentativo”. In 68 casi (pari all’80% degli episodi verificatesi) queste persone erano coinvolte in altri eventi critici, e 24 di loro – la realtà sa essere beffarda – erano state sottoposte alla misura della ”grande sorveglianza” e, tra queste, 19 lo erano anche al momento del suicidio.
Non è finita, i numeri da brivido continuano. Sono circa 4.000 i figli di donne detenute nelle carceri italiane, e di questi, ben 22, alla fine di aprile vivevano in carcere con la propria madre. Erano 2.480 alla fine del mese di aprile le donne detenute nelle carceri italiane, pari al 4,4% della popolazione carceraria complessiva. Una percentuale sostanzialmente stabile nel tempo, che non raggiunge i cinque punti dagli inizi degli anni ’90 del secolo scorso. Sono ospitate in parte nelle quattro carceri femminili presenti in Italia, che si trovano a Roma (dove il carcere femminile di Rebibbia, con le sue 337 detenute per 275 posti letto ufficiali, si impone come il più grande d’Europa), a Venezia, a Pozzuoli e a Trani. Gli istituti a “custodia attenuata per madri” di Lauro, Milano e Torino ospitano 15 donne complessivamente. Le restanti 1.853, pari ai tre quarti del totale, vivono nelle 45 sezioni femminili attive in questo momento all’interno di carceri a prevalenza maschile. Altro dato: le detenute straniere sono nettamente calate negli ultimi quindici anni. Se oggi costituiscono il 30,2% del totale delle donne detenute, nel 2013 arrivavano a circa dieci punti percentuali in più. Le nazionalità più rappresentate sono la rumena e la nigeriana.
Il rapporto di Antigone snocciola altri dati. Nel 2022 sono state presentate 1.180 domande di riparazione per ingiusta detenzione, di cui 556 sono state accolte. La ‘parte da leone’ la fa Reggio Calabria: 103 domande accolte pari a oltre 10 milioni di euro dei 27.378.085 che lo Stato ha dovuto sborsare lo scorso anno. Nel 2022, si legge ancora nel dossier, sono arrivate agli uffici di sorveglianza italiani 7.643 richieste di risarcimento – in base all’articolo 35-ter dell’ordinamento penitenziario – per aver subito un trattamento inumano o degradante durante la detenzione, tendenzialmente per assenza di spazio vitale. Le richieste che sono state decise nel corso dello stesso anno sono state 7.859: di queste, 4.514 (pari al 57,4%) sono state accolte, ed è un altro elemento che cresce in questa fotografia a tinte forti (gli accoglimenti erano stati 3.115 nel 2018, 4.347 nel 2019, 3.382 nel 2020 e 4.212 nel 2021). A far riflettere, infine, è la disomogeneità del tasso di accoglimento tra i diversi uffici: se la media nazionale nel 2022 era superiore al 50%, guardando al dato per ufficio si va da situazioni come Bologna (27,2%), Catanzaro (27,3%) o Roma (26,2%) ad altre come Brescia (82,3%), Potenza (80,6%) o Trento (83,6%). L’articolo 35-ter prevede, in particolare, una riduzione della pena di un giorno per ogni dieci giorni passati in condizioni inumani e degradanti o, per chi ha già ultimato di scontare la propria pena, il riconoscimento di 8 euro per ogni giorno passato in tali condizioni.
“Dalle rilevazioni di Antigone – leggiamo su “Avvenire”, che sintetizza altri punti chiave di un rapporto che non può lasciare indifferenti – il 9,2% ha diagnosi psichiatriche gravi (12,4% tra le donne), il 20% assume stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, il 40,3% sedativi o ipnotici. I tossicodipendenti in trattamento sono il 21,1% dei detenuti. Uno strumento per combattere la depressione, sostiene Antigone, è la possibilità di telefonare spesso ai familiari. «In molti carceri italiane – afferma il rapporto – si è purtroppo tornati alla disciplina precedente la pandemia. Si è ritornati ai 10 minuti di telefonata a settimana, nonostante lo Stesso Dap avesse chiesto una maggiore apertura». A Velletri, Padova, Firenze e Trieste invece anche una telefonata al giorno”.
Problematica, in carcere, anche l’istruzione: basti pensare che a causa dei trasferimenti solo il 48,8% dei detenuti iscritti ai corsi scolastici viene promosso. Meglio a San Gimignano 84,5%, Treviso 77,2, Rimini 73, Volterra 66,2, Spoleto 65. In altri è un disastro: a Belluno è promosso l’1,6%, a Brindisi il 5, a Napoli Poggio Reale il 6,9. Numerosi invece gli universitari, ben 1.114. Non va bene nemmeno il lavoro: solo il 35,2% dei detenuti lavora, ma molti solo per poche ore al mese, e l’86,6% in piccole attività alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria. Solo il 4,6% è alle dipendenze da datori di lavoro esterni. Aumentano i fondi per il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (53 milioni in più), ma cala la spesa per detenuto a causa dell’aumento dei reclusi. “Il costo maggiore (62%) – scrive “Avvenire” – è per la polizia penitenziaria, poco va all’accoglienza e al reinserimento (9,7%). Pur se inferiore del 15% all’organico, gli agenti sono 31.546, un poliziotto penitenziario ogni 1,8 detenuti. Solo 803 gli educatori nelle carceri rispetto aqi 923 previsti: uno ogni 71 detenuti. Ma a Roma Regina Coeli uno ogni 330 detenuti. Stanno per entrare in servizio 57 nuovi direttori: in Sardegna e Piemonte devono dividersi tra tre o quattro istituti. Per Antigone ne servirebbero altri 100”.
Cresce l’area penale esterna, ed è positivo. Meno il fatto che non riesca a sottrarre numeri al carcere. I condannati presi in carico dagli Uffici per l’esecuzione penale esterna sono dunque 73.983 (erano 31.865 nel 2014). Gli stranieri sono il 19,2% dei detenuti, molti di meno della loro percentuale in carcere. Una buona parte dell’area penale esterna (48,7%) è assorbita da tre misure alternative: affidamento in prova ai servizi sociali (66,4), detenzione domiciliare (30,9) e semilibertà (2,6).
Tra i diritti sommersi, in carcere, ci sono anche quelli, va da sé, all’affettività e alla sessualità. “Non ci si rende conto – spiega il dossier di Antigone – di come la vita in carcere possa portare alla negazione del piacere più semplice, del più banale contatto, quello umano, intimo e personale”.
Foto Wikipedia: vista da un grata del carcere dell’Asinara