In Italia, i detenuti ristretti negli istituti penali sono circa 62mila, di cui il 15% in attesa del primo giudizio, per un totale di 47.067 posti letto (meglio, brandina) disponibili – cifra variabile. 132mila sono invece i soggetti in carico agli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) di cui 84mila sottoposti a misure penali di comunità. L’area penale generale per gli adulti raggiunge la ragguardevole cifra di 194mila unità, cui vanno aggiunti almeno altri duemila minori tra IPM e comunità e 700 internati in Rems, di cui il 46% con misure di sicurezza provvisoria.
Nell’Unione europea, compresa l’Italia, sono più o meno 600mila i detenuti, definitivi o in attesa di giudizio. Di questi, circa 131.000 sono in attesa di giudizio. Per l’Ue non sono reperibili i dati complessivi dell’area penale esterna. Negli Stati Uniti la popolazione carceraria, che ammontava a 200mila individui negli anni Settanta, ha raggiunto ormai la cifra di due milioni e 300mila unità detentive, ai quali bisogna aggiungere quattro milioni e 700mila persone sotto le varie forme dell’area penale esterna.
Durante gli anni Duemila, il numero dei reclusi, in crescita costante dalla fine della seconda guerra mondiale, è aumentato del 108% in America (escludendo gli Stati Uniti), del 29% in Asia, del 15% in Africa, del 59% in Oceania. In Brasile l’aumento è del 115% e in Turchia del 145%. Tutti i dati che ho qui riportato, presi dai vari rapporti sulla carcerazione di organizzazioni internazionali e istituzioni come Eurostat, sono in aumento. Il fenomeno della carcerazione di massa è ormai globale. Ci vuole veramente poco per entrare, anche inconsapevolmente, nell’area penale generale. Si stima che nel mondo vi siano oggi dieci/undici milioni di persone carcerate (condannate con giudizio definitivo o in attesa di sentenza). La metà di questi si trovano negli Stati Uniti, in Cina e in Russia.
Per questo è sbagliata l’idea secondo cui ampliare il ventaglio delle sanzioni alternative comporti per forza la riduzione di persone recluse. Aumentano i dati di applicazione delle misure extra moenia e parallelamente quelli di esecuzione intra moenia. E non ci si lasci ingannare dalle misure di Paesi come l’Inghilterra dove per risolvere i gravi tassi di affollamento carcerario è stato programmato (dal dire al fare…) di sviluppare nuove forme alternative alla detenzione in istituto o l’introduzione di improbabili “numerus clausus” negli istituti penali. In quel Paese si sta sviluppando una forte attenzione alla carcerazione privata, per altro già attiva in settori marginali dell’esecuzione penale, e a modelli di utilizzo della forza lavoro detentiva in chiave di sfruttamento economico. Il detenuto è sempre un bel business. Basta averne tanti a disposizione. Tanti e disciplinati.
Torniamo in Italia. Il 51,7% degli italiani teme di rimanere vittima di reati, ma nell’ultimo decennio il numero delle denunce è diminuito del 25,4%. È quanto emerge dal 56° Rapporto Censis. Nel 2012 in Italia erano stati denunciati 2.818.834 reati, nel 2021 sono stati 2.104.114, con una differenza di 714.720 delitti. Anche altre analisi concordano con questo dato: il crimine in Italia è in diminuzione. Aumentano soltanto i reati informatici e le estorsioni, un fenomeno tipico delle organizzazioni criminali congiunto alla forte crisi economica. Però la carcerazione, sia intra moenia, sia in esecuzione esterna, e la concessione di misure alternative sono in aumento. Strano, no?
No, non è strano. Il fenomeno della carcerazione di massa, introdotto negli Usa negli anni Ottanta del secolo scorso attraverso precisi meccanismi tecnico-giuridici, annulla la detenzione minima e contemporaneamente innalza i periodi di carcerazione. L’innalzamento delle pene, l’introduzione ipertrofica di nuovi reati e la maggiore applicazione di misure alternative sostitutive della carcerazione, contribuiscono a imprimere un forte stress da sovraccarico alla penalità generale. Il sovraffollamento carcerario, però, è funzionale all’introduzione di settori di esecuzione penale privata. Perfino la maggiore applicazione di misure alternative surrogate della carcerazione, per esempio gli arresti domiciliari, rappresenta bene questa dimensione di saturazione penale che stiamo vivendo rendendo l’incarcerazione coestensiva alla vita libera.
In sintesi: in Italia il crimine diminuisce, ma i detenuti, nelle varie forme di esecuzione, aumentano. Questa evidente constatazione, solo apparentemente contraddittoria, porta con sé il rifiuto evidente ad adottare provvedimenti deflattivi, come la liberazione anticipata speciale, l’amnistia e l’indulto. Le ragioni sono politiche, economiche e disciplinari. L’invenzione di una delinquenza con contorni definiti di natura etnica (i migranti), sociale (la marginalità urbana), e di allarme generazionale (i reati legati alla legislazione sulle tossicodipendenze; la recente ipotesi di messa al bando della Cannabis light) ha dato vita e sostanza a una massa detentiva funzionale.
Una massa detentiva perfetta per realizzare forme alternative alla detenzione di natura economica e privata: le comunità educanti, le dimore sociali, i nuovi istituti “moderni” da costruire e via dicendo. Lo stesso fenomeno dei suicidi in carcere è considerato ormai accettabile: sia dal punto di vista etico-collettivo, per l’opinione pubblica è applicazione della regola “Chi vuole il proprio mal pianga sé stesso”, sia da quello istituzionale, “Un fenomeno inevitabile” sostiene il ministro Nordio. Se qualcuno non se ne fosse accorto, è necessario ricordare che, passato il vuoto agostano, ormai dei suicidi penitenziari non si parla più.
La detenzione intra moenia è dunque destinata a crescere nei prossimi anni. Quello che dobbiamo domandarci oggi, semmai, è se le “alternative” alla prigione siano la diffusione o la decrescita del controllo sociale dello Stato. La soluzione, però, non è “nel” carcere, che fa soltanto il suo lavoro. Michel Foucault osservò: “Il problema non è scegliere tra prigione modello e abolire le prigioni. Attualmente nel nostro sistema (Ndr: Francia anni Settanta) l’emarginazione è creata dalla prigione. Questa emarginazione non scomparirà automaticamente abolendo la prigione. La società instaurerebbe semplicemente un altro mezzo. Il problema è il seguente: offrire una critica del sistema che spieghi il processo attraverso il quale la società attuale emargina una parte della popolazione. Tutto qua” (in La società disciplinare, 2010, Mimesis. p. 34). Tutto qua!