Segnatevi data e orario: mercoledì 28 settembre sotto la galleria Cavour di Reggio dalle 20. Alla Spumanteria “All’Opera”, accorrete non bevuti per un’ampia scelta di vini, vinelli e spiriti vari quale preludio alcolico alla frizzante serata che vede la “prima reggiana” dell’ultima raccolta di poesie di Andrea Canova, figlio d’arte, già facitore di poemetti, autore di simil saggi di critica letteraria e storia e talvolta pure urlatore vocalmente sottotono (non ce lo vediamo il Canova, apparentemente più posato qual è divenuto, lui lo chiama “equilibrio dinamico”, a sbraitare i suoi versi davanti alla folla eccitata e bramosa di vendetta almeno dialettica) in alcuni agoni slampoetici.

Orbene, il titolo dell’oggetto versicolare è il seguente: “Il Mondo spiegato ai capitalisti in 126 poesie”. Laddove la scansione matematica del singolare volumetto parla di 3 poesie per ciascuno dei comuni della provincia reggiana ivi compreso naturalmente il comune capoluogo. Anche il 3 non è casuale: trattasi di escamotage narrativo per tripartire ogni paese del Reggiano in altrettanti mondi (3 per l’appunto), ovvero il sopramondo, il mondodimezzo ed il sottomondo. Qui però non c’entra niente la creazione geografica delle grande saghe Fantasy. Un po’ di più forse il richiamo ai gironi della Commedia. Ma quella di Canova non è un’anabasi dantesca (ovvero un’ascesa, “e infine uscimmo a riveder lo cielo”), piuttosto una catabasi classista, cioè una discesa agli inferi per tipologie sociali. Un’immersione ctonia, nel cuore della terra julesvernianamente, alla ricerca della parte più libera, dunque più pura, dunque più vera, della varia umanità, in questo caso reggianissima. Compiendo di fatto, con l’inversione motoria del pellegrinaggio simbolico tra topoi e figure, metafore e allegorie, dall’alto verso il basso nella suburra di casa nostra, una scelta di collocazione “ideologica”. Almeno così pensa (in parte giustamente) il nostro autore.
La “sequenza Fibonacci” della strutturazione libresca tende anche qui al calcolo delle probabilità: ed il povero gianpar, che qui cerca di arrabattarsi nella guisa di esegeta canoviano col rischio però di rimediarvi la figura estetica che già fu appannaggio del Bonito Oliva mollemente adagiato sul divano col pendolo de fora, non ha quasi dubbi nel definire la poesia del Canova eminentemente “materialistica” nell’accezione più nobile e tradizionale dell’aggettivo. Che non tende a scorciatoie compositive un tanto al braccio, per facilitarsi il compito nella confezione della filastrocca tendente allo stornello. Piuttosto a cimentarsi nella stesura del componimento di volta in volta socio-comunale partendo dalla desinenza del toponimo. Materialistica perché tratta appunto del “materiale umano” allignante nei comuni di casa nostra.
Un’operazione letteraria del tutto originale quella di Canova che applica sulla pagina la lezione conscia e volontaria di alcuni poeti quivi di riferimento, da Scialoja a Rodari, da Tognolini a Nove, per un epilogo sillogistico e linguistico, in cui Reggio e provincia sono sì al centro della sua poetica ma per delineare una visione delle cose più che politica, transpolitica, più che militante, post-anarchica (culturalmente parlando), più che avanguardistica, neo-strutturalista (da un punto di vista comunicativo). D’altronde il nostro autore avrebbe potuto infarcire ogni metro quadrato delle sue liriche “provinciali” (afferenti cioè la nostra provincia) di riferimenti proletari, socialisti e resistenziali. Invece nisba. Si prenda ad esempio la balena Valentina da Castellarano, oggi visibile ai Civici Musei. La scelta paleontologica tradisce, non si sa quanto consciamente, che il mondo spiegato ai capitalisti in fin dei conti, è un atto di ammissione che hanno ragione loro.