Caos Province, tutti i nodi della mezza riforma Delrio

Preoccupazione a palazzo Allende per il futuro dei dipendenti, tra contratti non rinnovati e trasferimenti in vista. Consigli cancellati con un tratto di penna, ma un vero piano per la riorganizzazione non esiste

Palazzo Allende: botta e risposta sui compensiLa doppia sbornia elettorale del 25 maggio e i primi passi della nuova giunta targata Luca Vecchi sembrano avere consegnato all’oblio la Provincia. Dopo un anno di polemiche e tentativi di riforma andati a vuoto, nessuno pare più occuparsi e tantomeno preoccuparsi della sorte dell’ente proprio nel momento in cui il ddl Delrio, diventato legge dello Stato in aprile, entra ufficialmente in vigore. La macchina della riorganizzazione ha cominciato a muoversi – dovrebbero svolgersi domenica 28 settembre le elezioni per i nuovi presidenti  e per il consiglio – ma gli effetti potrebbero essere caotici. Perché non si tratta solo di cambiare assetto istituzionale ma di ricollocare i circa 400 dipendenti. Per quanto riguarda gli assunti non sarebbero in vista licenziamenti, ma il costo in termini di occupazione ci sarà eccome: sono infatti decine i contratti a termine che non saranno rinnovati, ma non è chiara nemmeno la sorte dei dipendenti che non sanno ancora dove andranno a lavorare dal prossimo anno. Al momento le organizzazioni sindacali tacciono e la politica finge di non vedere, ma il problema si porrà e non sarà di facile soluzione dal momento che la legge Delrio non entra nel merito degli aspetti organizzativi.

Anche sui costi dell’operazione (la Corte dei conti aveva già lanciato l’allarme) non c’è alcuna garanzia, così come manca un piano d’azione per razionalizzare e redistribuire le risorse. Negli uffici di palazzo Allende la preoccupazione è tanta e manca ormai un riferimento politico, con la presidente Masini ormai fuori dai giochi e gli assessori alla ricerca di una nuova collocazione. Anche dal punto di vista operativo – strade, scuole, ambiente, turismo – la fase di transizioni potrebbe avere ricadute notevoli. La redistribuzione delle competenze, infatti, è ancora in alto mare e potrebbe impiegare molto tempo. Insomma, per il momento le Province sono state cancellate con un tratto di penna, ma solo sulla carta.

Un meccanismo contorto

Dovrebbero svolgersi domenica 28 settembre (questa è infatti la data suggerita dal ministero dell’Interno in una circolare inviata in questi giorni ai prefetti) le elezioni per i nuovi presidenti delle Province, per i consigli provinciali e per il consiglio della città metropolitana. I votanti sono i sindaci e i consiglieri comunali di tutti i Comuni. I loro voti non saranno uguali: c’è infatti un complicato calcolo che porterà alla ponderazione del loro voto a seconda della fascia di popolazione in cui verranno divisi i comuni, alla luce di ciò che prevede la legge Delrio. Il voto di un consigliere comunale di un Comune più grande, in estrema sintesi, vale molto di più di quello di un Comune piccolo.
Possono essere eletti presidenti i sindaci dei Comuni il cui mandato non scade nei successivi 18 mesi, mentre del consiglio comunale possono far parte i consiglieri comunali dei singoli Comuni. Possono essere eletti (solo per questa prima volta), ma non possono votare, anche i consiglieri provinciali e presidenti della provincia uscenti. Questo significa che, teoricamente, il primo presidente della provincia eletto indirettamente potrebbe non essere un sindaco, ma il presidente uscente o un consigliere provinciale.
Le candidature vanno presentate venti giorni prima delle elezioni (quindi l’8 settembre, se si sceglierà la data ‘suggerita’ del 28). I candidati per il consiglio provinciale si presenteranno in liste, verosimilmente quelle dei partiti e delle coalizioni che rappresentano. Ogni elettore potrà dare un voto di preferenza (anch’esso ponderato) che servirà per determinare chi entrerà a far parte del consiglio provinciale: un organo ristretto (10-12 componenti a seconda della popolazione, 18 nel caso di Bologna) che avrà al suo interno rappresentanti delle forze politiche che eleggeranno i consiglieri, ai cui componenti potranno essere assegnate delle deleghe dal presidente, ma che non riceveranno alcun compenso.
Conoscendo in anticipo chi sono gli elettori, si può facilmente ipotizzare che in Emilia-Romagna il Partito Democratico sarà in grado di assicurarsi sia i presidenti, sia la maggioranza assoluta dei consiglieri provinciali.
Il meccanismo di elezione e le soglie per la presentazione delle candidature, tuttavia potrebbero determinare alcuni effetti non trascurabili. Il numero dei consiglieri, ad esempio, sarà definito con il metodo d’Hondt, lo stesso che regola l’elezione dei consigli comunali e che ha fra le proprie caratteristiche quello di premiare i partiti maggiori. E’ quindi ipotizzabile che le forze politiche che sono alleate negli enti locali prendano in considerazione l’ipotesi di presentare liste di coalizione per massimizzare il risultato ed ottenere più posti in consiglio.
Le liste dei consiglieri devono essere sottoscritte dal 5% degli aventi diritto al voto. Per le forze politiche meno rappresentate nei consigli (tipo il Movimento 5 Stelle) potrebbe non essere semplicissimo raggiungere questa soglia.

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