Presentato al Festival di Venezia a settembre scorso il film di Amelio ha tutti i crismi di un classico, come sono ormai da tempo le produzioni dell’autore calabrese.
Campo di Battaglia , poi, sembra ritagliato apposta per questa temperie cinematografica , in cui coincide con la tematica principale dei Dannati di Minervini , la follia della guerra, con la povera gente vittima principale e sacrificale, e con una delle questioni che L’arte della gioia tocca nella metà della sua seconda parte offerta al pubblico delle sale questa primavera : la pandemia della “spagnola” che in termini ancora più impressionanti del film di Golino, sono qui vividamente attualizzati e narrati da Amelio nella seconda parte del suo film.
Detto questo, Campo di Battaglia inizia con uno stile di documentarismo che sembrerebbe richiamare proprio il “realismo creativo” di Minervini.
La prima scena , in uno dei pochi esterni, è infatti una notturna , silenziosa e dantesca, in cui un soldato incaricato va a controllare gli accatastamenti di corpi di commilitoni morti dopo una battaglia (probabilmente Caporetto) sul fronte orientale , Friuli- Venezia Giulia della prima guerra mondiale (siamo nel 1918 , tra la catastrofe di Caporetto e la Vittoria sul Piave) per vedere se ci sono superstiti sotto quegli ammassi , ma anche se hanno portafogli o oggetti da sottrarvi. Per esempio il soldatino affamato trova un pezzo di pane raffermo nella tasca di uno dei morti, e lo comincia a mangiare avidamente. E nel frattempo , ed entriamo nella fiction e nel simbolismo, tra i corpi spunta, cercando di farsi afferrare, anche una mano viva che porterà a una figura significativa benché di un personaggio minore, sopravvissuto, e che emergerà verso fine del film nella sua ambiguità di simulatore e speculatore torbido delle situazioni di guerra.
In realtà Amelio anche in questa sua opera dispiega la sua specifica potenza geometrica e nel contempo ricca di pathos , dove la narrazione e la fotografia e quindi la preziosità delle inquadrature e della bellezza delle immagini sono al servizio di un cinema di grande respiro civile e anche di riflessione filosofica sui sensi ultimi della vita e della specie umana .
Da quel momento di ‘esterno notte’ in poi , il film di Amelio marca nettamente la sua distanza dal cinema di “documentario di creazione” partecipato con personaggi non-attori e con soggetto e sceneggiatura originali, che è la sostanza dei lungometraggi di Minervini. Campo di Battaglia infatti è tratto dal romanzo La sfida (2018) di Carlo Patriarca e mutua il titolo Campo di battaglia, dal suo primo libro del 2013. Con almeno tre attori professionisti di spicco “La Sfida” nel film di Amelio è , come nel libro, quella del confronto ideologico ed esistenziale tra due medici di guerra , Giulio e Stefano, amici fino in fondo malgrado le loro divergenze (e già compagni di studi universitari) e , interagente con entrambi, sul piano dei valori e dei sentimenti , è la figura di Anna, altrettante brillante comune compagna di studi, laureata in medicina, ma non esercitante , se non come infermiera specializzata, perché in quanto donna ai quei tempi non accreditata della lode finale. Il campo di battaglia del film , non è quello delle battaglie cruente del ‘15-18 , che non si vedono mai nel film, ma l’ospedale da campo dove arrivano i soldati feriti (italiani) di tali battaglie , e quindi il luogo terminale del prodotto dell’“inutile strage” tra povera gente analfabeta mandata al macello contro i simili dell’opposta parte. Il film si sviluppa, per la gran parte, in questi interni ospedalieri e la posta in gioco è il valore e la direzione del destino dei feriti e mutilati che viene deciso dalla dialettica tra i due ”duellanti” colleghi e già compagni di università e diventa un confronto di idee sulla guerra, sulla deontologia professionale, sul significato della vita umana e della società in generale. A confronto due dei migliori interpreti del cinema italiano delle generazione tra i 30 e 40 anni : i romani Alessandro Borghi (Giulio) e Gabriel Montesi (Stefano) e tra loro una talentuosa artista a tutto tondo, ancora meno nota, ma già intensa protagonista dell’ultimo film di Luchetti di questo 2024, Confidenza , Federica Rosellini (Anna), trevigiana, già a 35 anni con formazione al conservatorio musicale in violino, teatro al Piccolo di Milano, scrittrice e regista, illustratrice e performer.
Giulio rappresenta tra i due l’anima più pacifista e quella scevra da ogni volontà di potenza . Stefano invece è quello che ha più l’istinto del potere e nutre un nazionalismo guerrafondaio, ma pur nel pieno dissidio di impostazioni e valori, non tradisce mai l’amico, anche se avrebbe gli elementi e le notizie di reato per cui poterlo fare , e si mostra non semplicemente una maschera ideologica in tale dialettica , ma un uomo travagliato da non pochi demoni in lotta tra loro. Più sfumata Anna , che ha un debole per Giulio, ma poi sposerà Stefano, e che comunque rimane irrisolta tra le sue aspirazioni di emancipazione femminile e la sua ambivalente predisposizione nella dialettica, anche sentimentale, che intercorre tra i due.
Va chiarito intanto , per estrema cruda sintesi , che per Stefano (Montesi) i soldati feriti e mutilati vanno “riparati” al più presto e rimandati al fronte. Anche perché Stefano disprezza enormemente questi che per lui sono degli “sconfitti ( di Caporetto), e anche dei vigliacchi, che mandano gli altri a morire al posto loro” e soprattutto introduce esplicitamente quella che è una delle problematiche che connotano il film : la questione enormemente diffusa nell’esercito italiano della Grande Guerra dell’autolesionismo di difesa dei soldati al fronte , almeno fino alla capitolazione di Caporetto. E’ una pagina della storia italiana che non è mai stata trattata abbastanza, nemmeno dopo la seconda guerra mondiale. E’ questa realtà, terribile e tragica, che pervade tutto il film e lo innerva dei suoi sviluppi e peripezie. Rispetto alla folle guerra di trincea dove i soldati italiani agli ordini di Cadorna e dei suoi generali venivano mandati al macello come mosche senza riparo di fronte alle mitragliatrici nemiche, in assalti kamikaze alla baionetta, ubriacati di cognac per superare il terrore, armati di mazze ferrate, esposti ai gas velenosi e a colpi di mortaio che li facevano a pezzi, tutto questo, prima e durante Caporetto , era percepito con grande disperato terrore dai militi. Che attuavano sempre più l’escamotage di procurarsi delle ferite, mutilarsi qualche arto, o occhio, o simulare una follia, pur di essere riformati e tornarsene a casa , magari storpiati, ma salvi.
E qui dal punto di vista delle immagini , si esalta la forza espressiva di Amelio, che ritrova la potenza dei suoi volti e personaggi neorealistici de Il Ladro di Bambini, Così ridevano, Lamerica, Il primo uomo, per cui il film sale di pathos e avvince : giacché scorre sotto gli occhi dei due amici – che “duellano” sulla sorte da assegnare a tutta quest’umanità martoriata – un’ infinita serie impressionante di tableau vivant di tipologie di feriti , con le loro lesioni sanguinanti, i loro primi piani e la loro parlate dialettali , incomprensibili gli uni agli altri, se non nell’anelito di sopravvivere a tutti i costi. E’ l’epica degli ultimi e dei diseredati, quella di Amelio da Lamerica in poi.
Il guerrafondaio Stefano, nazionalista con pulsioni autoritarie e velleità politiche – che in maniera velata sembrerebbe conseguire alla fine del film- scova implacabile questi “ disertori” e li punisce rimandandoli al fronte. E le esecuzioni nell’esercito italiano di questi “simulatori” , autentiche programmate decimazioni , sono state moltissime e spietate sotto il comando del Maresciallo Cadorna.
Il pacifista Giulio ( Borghi) , che avrebbe voluto fare soprattutto il biologo di ricerca, ha invece pietas per questa condizione umana di derelitti e in qualche modo “facilita” in segreto, con la sua tecnica , queste amputazioni e lesioni parziali , e a volte transitorie, pur di non rimandarli al massacro. Comincia a circolare così tra i soldati una sorta di figura mitologica, identificata come “la mano santa”. L’acme di tale dissidio si ha quando un giovanissimo soldato siciliano (“aiutato” da Giulio), che accusava una totale cecità ai due occhi, viene scoperto avere almeno un occhio sano. Stefano lo verifica , sa che c’è stato l’intervento dell’amico, ma non lo denuncia alla Corte Marziale, verso la quale invia invece il soldato. La fucilazione di questi di fronte a tutti i commilitoni nel cortile di fronte all’Ospedale , è una delle scene memorabili del film.
Dopo questa entrambi si dimettono dal loro incarico. Giulio per una crisi totale di coscienza lascia la professione e comincia a vagare come perso nelle osterie del paese circostante e Stefano, anche stressato dalla insostenibile violenza psicologica che ha esercitato su se stesso nella sua azione di grande inquisitore contro gli autolesionisti, e grazie alle sue appartenenze altoborghesi, si fa trasferire a posizioni di comando strategico e politico che assecondano la sua indole di uomo di potere.
Ma il destino li ricongiunge nell’esplodere della pandemia della “spagnola” che mieterà in Europa oltre il triplo delle vittime cadute per le azioni militari in tutta la Grande Guerra ( cinquanta milioni di morti per il virus contro sedici milioni di civili e militari periti per il conflitto mondiale).
Anche qui la scena cruciale è un esterno notte in una sorta di lazzaretto buio che è poi una prigione , dove , come tutte le istituzioni totali, vengano segregati i primi malati della pandemia. Stefano trova lì Giulio che sta cercando di assistere le prime vittime. Rammenta all’amico che egli non l’ha denunciato per la sua “mano santa” , ma gli chiede ora di mettere al servizio di questa nuova emergenza la sua scienza di biologo di valore che stava lavorando a un vaccino e a un mix antibiotico per curare e fronteggiare questo nuovo flagello. Giulio lo farà, e parrebbe – ma in tutta questa parte , riguardante l’ epidemia e le ricerche di Stefano, il film è piuttosto confuso- aver trovato almeno le basi del principio attivo di vaccino/ farmaco ad hoc. E in questa fase , ritrova Anna, che ha sposato nel frattempo Stefano, ma è rimasta molto legata a lui ; non nascondendo , pur non andando oltre un rapporto platonico di abbraccio amicale, che in fondo Giulio sarebbe il suo preferito, ma che il suo essere dal punto di vista sentimentale così distante e alieno , come se interiormente vivesse in un’altra dimensione, l’ha infine dissuasa in quella direzione. In ogni caso da quel momento Anna sarà la più fedele e concreta collaboratrice nella sua ricerca. Ma anche Giulio alla fine perisce nella sua dedizione disperata alla causa, sembrerebbe anche per aver sperimentato su se stesso il principio attivo del farmaco a uno stadio di non ancora sicura copertura ed esserne rimasto contagiato. E c’è una scena che è fra l’onirico e il simbolico , quando Giulio, in una fredda mattina esce ancora febbricitante dalla sua stanza e vaga barcollante lungo la strada innevata con lo sguardo allucinato. Da lontano Anna lo rincorre e gli porta una mantella per ripararsi e in qualche modo gli annuncia concitata che il reagente del vaccino ( o antibiotico) sta segnalando in vitro un’ evoluzione nella coltura e poi corre indietro a prendere o fare non si capisce cosa. Giulio rimane un attimo fermo a lato della strada, ma poi lentamente si accascia morto , quasi come un moderno Mosè sulla soglia della (presunta) terra promessa.
In questa seconda fase della descrizione della “spagnola”, Amelio riesce a darci scene e presenze al meglio del suo cinema , e ancora più efficaci e compiute rispetto a quelle simili rappresentate ne L‘Arte della gioia della Golino : sono le scene, viranti al surreale e all’incubo , di un’ininterrotta teoria di uomini e donne nerovestite e con le mascherine , squassate da colpi di tosse sempre più forti, frequenti, che , eco sinistro, accompagnano il loro lento rassegnato incamminamento verso non si sa cosa. E i camion in fila dei soldati che portano di notte in fosse comuni i cadaveri dei morti contagiati, e il grande rogo di questi corpi – con le fiamme che si alzano violente fino ad occupare l’ intero schermo, tanto da dare la sensazione imminente di lambire persino lo spettatore – richiamano purtroppo la realtà e l’angoscia da noi già vissuta in quel biennio terribile degli primi anni venti di questo secolo. Commoventi infine, ma affatto mielose, come nell’arte di Amelio , dal Ladro dei bambini in poi, i volti innocentemente lucidi e sereni dei bambini malati di “spagnola” che chiedono ad Anna se lì in ospedale dovranno morire , e lei che risponde ferma e materna : “Qui dentro , ricordatevi bambini, non muore nessuno…”.