Non è la stampa italiana ostile, né sono i conduttori di talk show prezzolati, il vero problema di Beppe Grillo. Al contrario quell’apparato che il leader del Movimento 5 Stelle dice di volere spazzare via al pari dei partiti e con il quale si rifiuta pervicacemente di parlare si è rivelato l’alleato più prezioso dopo il Partito democratico.
Che i pericoli veri fossero tra le mura amiche e non all’esterno Grillo lo aveva già intuito; non a caso appena due settimane fa dal suo blog si era scagliato contro l’assenza di vincolo di mandato garantita dalla Costituzione. Ma forse nemmeno lui sospettava che si suoi timori trovassero conferma tanto presto.Al primo banco di prova – la doppia tornata elettorale per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato – il Movimento 5 Stelle si è spaccato. Quello che non doveva capitare è accaduto a Palazzo Madama durante la seduta che ha portato all’elezione di Pietro Grasso, uscito vincitore dal ballottaggio contro Renato Schifani, sostenuto dal Pdl. Il candidato del Pd ha raccolto 12 voti in più rispetto al numero dei senatori del centrosinistra. Non è difficile immaginare da dove siano arrivati quei voti. E alla Camera non sono passati inosservati gli applausi di molti deputati 5 Stelle quando il computo dei voti ha toccato quota 310, la soglia di voti necessaria per l’elezione di Laura Boldrini, quota Sel.
La crepa rischia di allargarsi, di diventare voragine. Grillo ha reagito come al solito: non si è limitato a richiamare i suoi all’ordine, ma ha fatto vibrare la minaccia dell’espusione dal suo blog: “Nella votazione di oggi per la presidenza del Senato è mancata la trasparenza. Il voto segreto non ha senso, l’eletto deve rispondere delle sue azioni ai cittadini con un voto palese. Se questo è vero in generale, per il MoVimento 5 Stelle, che fa della trasparenza uno dei suoi punti cardinali, vale ancora di più. Per questo vorrei che ogni senatore del M5S dichiari come ha votato”.
“Nel “Codice di comportamento eletti MoVimento 5 Stelle in Parlamento” – ha ricordato il capo – sottoscritto liberamente da tutti i candidati, al punto Trasparenza è citato:- Votazioni in aula decise a maggioranza dei parlamentari del M5S”. E infine la minaccia: “Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo ha mentito agli elettori, spero ne tragga le dovute conseguenze”.
Il problema non è il voto segreto e la questione di trasparenza non è da imputare alla procedura. La verità è che i neoparlamentari 5 Stelle sono per lo più dei perfetti sconosciuti e in quanto tali imprevedibili. Perché va vene la democrazia diretta ma se la catena di comando salta l’unica cosa che lascerà il Movimento 5 Stelle sarà una pattuglia di parlamentari allo sbando.