Altro che minaccia per il futuro. Solo in un anno, un horribilis, da questo punto di vista, 2023, gli eventi meteorologici estremi in Italia sono stati 378, il 22 per cento in più che nel già non pacifico 2022, causando 31 morti e miliardi di costi. Il futuro arriverà , ma “la crisi climatica è qui e ora”, avverte Legambiente, il cui Osservatorio Città Clima ha tracciato l’allarmante bilancio di fine anno che segna un trend di catastrofi meteo in decisa ascesa. Un imprevisto spazzar di venti e scrosciar d’acqua finora mai sperimentato in questi termini di violenza e frequenza, tanto che ormai al primo gocciolone o oscuramento improvviso del cielo o folata che fa sbattere fronde e oggetti, si comincia a guardar fuori dalla finestra impensieriti. Sempre meno si tratta di quella pioggia amica che veniva a dissetare campi e piante assetati, o di venticelli birichini e sempre più spesso, invece, di bombe, frastuoni, inondazioni. In cui la mano del clima impazzito e quella dell’uomo cementificatore si stringono in un’alleanza perversa che provoca un disastro allarmante, di cui la penisola è uno degli esempi peggiori in Europa.
“L’Italia è considerata l’hotspot dei cambiamenti climatici dalla comunità scientifica internazionale che si occupa di clima e meteo – avverte Andrea Minutolo, responsabile scientifico di Legambiente – Non si può più attendere. Per porre rimedio al disastro climatico ci vorrà molto tempo, nell’immediato bisogna adattare il territorio alle nuove condizioni e passare dalla logica dell’emergenza a quella della prevenzione”. Sugli effetti sempre più violenti dell’emergenza climatica si sono più volte soffermati gli scienziati dell’IPCC (il gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite), spiega Legambiente, “rilevando come l’Italia sia un paese tra i più esposti nel continente europeo”. Dove, secondo l’indagine delle agenzie di ricerca indipendenti mUp Research e Norstat, solo nell’ultimo anno circa 5 milioni di italiani hanno subito danni alla propria abitazione a causa di maltempo o calamità naturali e in cui la prevenzione, calcola Legambiente, “farebbe risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni”. Primo obiettivo, attutire il rischio da noi maggiore: quello idrogeologico, visto, spiega Minutolo, che la pioggia concentrata e violenta del climate change cade sul bagnato di una cattiva gestione del territorio.
L’Osservatorio registra il disastro. La palma va al nord Italia con 210 eventi estremi. Seguono il centro con 98 e il sud con 70. Tra le città più colpite: Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato, invece a livello regionale, Lombardia ed Emilia-Romagna con, rispettivamente, 62 e 59 eventi che hanno provocato danni, seguite da Toscana con 44, il Lazio con 30, il Piemonte con 27, il Veneto con 24 e la Sicilia con 21. L’inquietante bilancio di fine 2023 rivela che l’area più colpita è quella idrogeologica con un aumento del 170% rispetto all’anno precedente. Ma anche il resto non è stato bene.
Le temperature record nelle aree urbane si sono alzate del 150% rispetto ai casi del 2022, le frane da piogge intense si sono moltiplicate del 60 %, le mareggiate del 44%, i danni da grandinate sono cresciuti del 34,5% e gli allagamenti del 12,4%. Anno difficile e trend di crescita preoccupante dove anche l’alta montagna ha sofferto, raggiungendo lo zero termico a quota 5.328 metri sulle Alpi, con i ghiacciai che sono andati in vistosa ritirata. Nello specifico, nel 2023, si sono verificati 118 casi di allagamenti da piogge intense, 82 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 39 di danni da grandinate, 35 esondazioni fluviali, 26 danni da mareggiate, 21 danni da siccità prolungata, 20 casi di temperature estreme in città, 18 casi di frane causate da piogge intense, 16 eventi con danni alle infrastrutture e 3 eventi che sono andati a rovinare il patrimonio storico.
Ma chiediamo a Andrea Minutolo il perché dell’ “onorifico” titolo di hotspot del cambiamento climatico che l’Italia si è conquistata. “Non è un caso che in un solo anno qui ci siano state ben due alluvioni terribili: in primavera in Emilia Romagna e in autunno in Toscana. La denominazione di hotspot deriva da ragioni sia naturali che indotte dall’uomo. La prima naturale è che la penisola si piazza in diagonale, con tutta la dorsale dei suoi Appennini che convogliano il freddo appena arriva, nel centro del Mediterraneo: un mare importante e chiuso che si surriscalda alla svelta di fronte all’ innalzamento delle temperature. Così appena le masse di aria calda che evaporano dal mare si scontrano con le correnti fredde, ecco il nubifragio e l’evento estremo. La seconda ragione è che si tratta di un paese a elevato rischio idrogeologico per fragilità intrinseca del territorio. Tre sono i rischi ambientali naturali dell’Italia: idrogeologico, sismico e vulcanico”.
Quanto alle cause “innaturali” del primato negativo italiano consiste, secondo Minutolo, nel fatto che l’uomo ha dato una grossa mano al rischio “con la gestione sbagliata del territorio che si riflette sia sulle esondazioni che sulle inondazioni, ovvero quando i fiumi non esondano ma il terreno totalmente impermeabilizzato delle città non lascia filtrare l’acqua, come per esempio è successo a Roma”. Perché, “ se è naturale che un fiume esondi, non lo è il danno enorme che ne deriva dal momento che le aree di esondazione naturali, che anzi potrebbero venir fertilizzate, sono state cementificate e impermeabilizzate, costruendoci di tutto, dai complessi residenziali a quelli industriali lasciando ai corsi d’acqua margini sempre più stretti”. Lo stesso dicasi di “città in cui si è steso asfalto per far passare le macchine e poi lo si è diffuso dappertutto concependo dette città in funzione delle auto e non degli esseri umani”.
Già ma ora che fare? Legambiente chiede subito una “road map climatica nazionale” fondata su tre pilastri: piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, legge contro il consumo di suolo di cui si parla invano oltre 11 anni e superamento della logica dell’emergenza. Minutolo sottolinea che la legge contro il consumo di suolo sarebbe del tutto a costo zero e ne fermerebbe la crescita progressiva di anno in anno. Ma ha ricette anche per lo scempio già fatto.
“Per fermare il cambiamento climatico ci vorrà, anche se andasse bene, molto tempo. Intanto bisogna intervenire alla svelta per adattare l’esistente alle nuove condizioni. Bisogna imparare a convivere con il clima fuori controllo che abbiamo provocato ”. Spiega che ai bordi dei corsi d’acqua di cui si sono consumate le aree di esondazione si può delocalizzare il possibile, a cominciare dagli insediamenti industriali, e togliere il cemento. Per quanto non è possibile come i centri residenziali, interi quartieri, e in generale per le città, Minutolo, indica soluzioni, a cominciare da non lasciare che l’acqua scivoli direttamente dai tetti nelle fogne e da lì nei corsi d’acqua già gonfi, ma indirizzandola, tramite i cosiddetti “tetti verdi”, verso grondaie che la portino dentro cisterne dove può esser conservata per annaffiare, per il bagno, per pulire i pavimenti, per attutire le siccità.
“Non è necessario fare tutto, come ora, con l’acqua potabile sprecandone a volontà .Abbiamo iniziato a pensare alla riqualificazione energetica, mai a quella idrica”, protesta Minutolo che parla anche di togliere l’asfalto, che impermeabilizza il terreno rimbalzando l’acqua in superficie, da gran parte delle aree cittadine: “Bisogna ripensare gli spazi pubblici. Si può rimuovere l’asfalto a favore di materiali più permeabili là dove non è necessario che viaggino le auto, come, per esempio, marciapiedi, parcheggi e altro, lasciando filtrare l’acqua nel terreno e mitigando le isole di calore.Si possono, piantare più alberi che con le loro fronde possono spargere l’acqua invece di lasciarle formare un unico getto violento. È un puzzle di tante azioni che può arrivare a un notevole risultato”.