Firenze – A 29 anni dalla strage di via D’Amelio, in cui scomparvero il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta, spazzati via da un’ondata di esplosivo sotto la casa della madre del giudice, nel momento della commemorazione di uno dei momenti più bui della Repubblica, la Fondazione Antonino Caponnetto torna, come ormai da anni sua abitudine, a fare il punto sulla situazione della lotta alla mafia, con focus particolare sulla Toscana, con un atto, come dice il presidente Salvatore Calleri introducendo il tema, di “commemorazione attiva”. Una guerra che sta conoscendo secondo Calleri, un momento di stanca almeno per quanto rgiuarda la percezione pubblica, dal momento che la lotta contro la criminalità organizzata è sparita dall’agenda delle priorità dell’azione di governo, che vede la messa in discussione dello strumento dell’ergastolo ostativo per i boss, ma che in compenso segna punti a favore di questa immensa macchina di soldi, violenza e morte, come la recente scoperta, a latere di un’operazione importante come quella svoltasi a Partinico, di vere e proprie piantagioni di mariuana sul territorio toscano. Insomma, da Toscana Terra di conquista, a Toscana terra di produzione di materie prime.
“Non è un bel momento questo per la lotta alla mafia – dice il presidente Salvatore Calleri – siamo nel punto più basso di sensibilizzazione nella lotta alla mafia degli ultimi 29 anni. Ciò che si tocca con mano è l’avvenuta perdita d’importanza, ma anche il concretizzarsi delle due c: convivenza e semplice contenimento. Si tratta di un tema scomodo che va dimenticato, nonostante il 2021 abbia segnato alcuni dati importanti. Al di là della questione dell’ergastolo ostativo (che comunque è da tre mesi che avrebbe dovuto vedere aprirsi la discussione nel parlamento italiano, secondo l’indicazione della Corte europea), è l’anno del Recovery fund, che porterà oltre 200miliardi nel Paese su cui si potrebbero aprire le voraci fauci delle cosche. Cosche che godono secondo le ultime valutazioni, di un “tesorone” di almeno 3mila miliardi (parlando soo di mafie italiane) disseminati nel mondo”. Non solo. Il 2021 è anche l’anno “del riciclaggio, dell’usura e delle acquisiszioni a go go” facilitate dalla crisi economica scatenata dal Covid.
Per quanto riguarda la Toscana, oltre alle piantagioni di marijuana rivelate da un’intercettazione nell’ambto dell’operazione svoltasi a Partinico, in Sicilia, sono molti, dice Calleri, i fronti aperti: da quella dei rifiuti che riguarda sia il traffico che lo sversamento, che concretizza il rischio di trasformazione in una inconsapevole terra dei fuochi un territorio che sta facendo del green e della sostenibilità il suo brand con centinaia di imprese biologiche (si veda in tal senso la recente nchiesta Keu, ma anche quella del 2016 che toccò Palaia e dintorni o il recente rinvio a giudizio riguardante le discariche livornesi), a quello dell’acquisizione di imprese toscane legate però a cosche provenienti dai territori classici di nascita, alle acquisizioni immobiliari di terre, negozi e soprattutto bar e ristoranti. E perché no, alberghi e case.
Fra le contromisure che si stanno prendendo, oltre alle numerose inchieste avviate sul territorio, da segnalare la, ormai data per prossima, apertura di un Osservatorio regionale sulla criminalità organizzata. “Fondamentale – dice a tal proposito Calleri – che sia ben organizzato e che parta al più presto”.
Le attività della criminalità organizzata sono ormai diffuse in tutta la Regione. Ci sono zone in cui la presenza delle cosche è ormai radicata da decenni, come le aree della Versilia, Valdinievole, Valdarno e area pratese, mentre in altre aree l’insediamento è più recente, ma non per questo meno aggressivo. Si ricorda nel report che l’area lucchese è stata interessata da fine anni ’80 ad oggi, da almeno 50 operazioni di polizia o fatti gravi, compresi omicidi di mafia, e che sono presenti 31 gruppi criminali mafiosi, oltre alla criminalità straniera.
Venendo a Firenze, città calamita da sempre di investimenti “sia sani che criminali – dice Calleri – con la botta di maglio del covid la situazione si è ovviamente aggravata, favorendo gruppi di speculatori con liquidità ma anche i gruppi criminali. Bisogna attenzionare tutti i passaggi commerciali e i nuovi soggetti in arrivo”. Infine, non bisogna dimenticare l’episodio, insolito per Firenze, dell’ordigno fatto esplodere sulla porta di un ristorante di Porta al Prato, nel febbraio 2021.
All’incontro con la stampa ha partecipato anche il magistrato Cesare Sirignano, particolarmente legato al territorio toscano, su cui ha svolto importanti attività investigative, passando poi al coordinamento nazionale antimafia, dove è rimasto tre anni. “Un passaggio è necessario, nella giornata odierna – dice Sirignano – ed è quello di occuparsi della figura del giudice Borsellino, della sua persona. Al di là delle sue evidenti capacità professionali, è stata una persona coraggiosa”.
“Oggi sfidare le organizzazioni criminali significa in parte sfidare un potere indefinito, in cui non sai chi è il tuo avversario – spiega il magistrato – Una operazione sempre molto difficile, perché non sai da dove proviene il pericolo. Dunque, studiare la persona di Borsellino può servire, più che le indagini, che sicuramente erano indagini di mafia complesse. Di fronte a tutto ciò, bisogna, soprattutto oggi, avere una forza che non è quella comune. Sia Falcone che Borsellino l’hanno avuta, e mi piace ricordare anche il modo attraverso il quale hanno affrontato i grandi problemi legati alle indagini e ai processi, bisogna sempre svolgere il ruolo nel rispetto delle garanzie e delle leggi. Non c’è scorciatoia anche in magistratura, le cose vanno accertate, approfondite e solo quando si è convinti si va avanti. Altrimenti, qualunque sia l’imputato, bisogna fare un passo indietro. Credo che oggi sia più facile andare alla ribalta con degli scoop, con degli slogan che non con degli approfondimenti che non solo richiedono capacità ma anche la forza di capire gli errori e dove si è sbagliato. Cosa di pochi”.
Il magistrato Cesare Sirignano ha svolto indagini, quando si trovava presso la procura di Napoli, su Lucca, Versilia, Torre del Lago, con importanti risultati confermati da sentenze passate in giudicato, in seguito ha svolto il suo ruolo presso il coordinamento nazionale antimafia per tre anni, avendo la possibilità di seguire le indagini da lui iniziate “con un confronto molto costruttivo con i colleghi che si occupavano di antimafia nel territorio della procura di Firenze”.
“Paradossalmente, questo territorio, al di là dei giusti e continui allarmi della Fondazione per far tenere aperti gli occhi sul territorio, forse, malgrado noi poniamo gli accenti sulle infiltrazioni, è ancora sostanzialmente sano, a differenza di altri territori anche del Nord Italia, dove l’inquinamento economico è più forte. Del resto, si dice che in Italia si parla solo di mafia, ma è importante parlarne per conoscere. Purtroppo, pur sapendo tanto, non riusciamo a fare tutto ciò che si dovrebbe fare. Questo è un impegno cui devono corrispondere non solo la magistratura e le forze dell’ordine, bensì, partendo dal dato della presenza della mafia su un territorio, è necessario a mio parere muoversi in due modi diversi a seconda della gravità della presenza: dove è poco presente, investire in chiave preventiva. Ritengo che la Toscana, rispetto anche ad altre regioni limitrofe, è forse quella che sta meglio, pur essendo da tanti anni terra di conquista”. In concreto, continua Sirignano, “non capisco perché una Regione come quella Toscana non investa nell’accertamento degli investimenti. Come priorità in questo momento, non potendo fare tutto e bene, andrei a verificare come mai in alcuni territori spuntano imprese dal nulla, o imprese che stavano per fallire diventano improvvisamente floride. Oppure negozi che non prenderebbe in affitto nessuno per i costi esorbitanti, tanto più in periodo di crisi, trovano immediatamente gli acquirenti, o controllare bar che hanno un utile sproporzionato rispetto ai flussi turistici, soprattutto in quanto è noto che bar e ristoranti sono punti privilegiati per il riciclaggio”. Il mercato viene totalmente stravolto da questi passaggi. “Proteggere l’economia sana – continua Sirignano – significa andare a verificare questo. Come diceva Falcone, seguiamo i soldi”.
Per quanto riguarda le piantagioni di materia prima, precisa Sirignano, c’erano campi coltivati a marijuana anche a Pistoia, collegati con la ‘ndrangheta. Tuttavia, “credo che gli investimenti privilegiati siano sul mercato immobiliare. Gli investimenti immobiliari sono quelli più semplici: acquistare terreni, aziende, negozi, impiantare attività mantenendone la titolarità in capo a soggetti del posto, che si recano poi a lavorare in altre regioni, in modo che, nel controllo sugli appalti, viene superato il primo alert che è la proveneinza della sede sociale della ditta dai territori inquinati (Casapesenna, Casale, San Gemignano d’Aversa, Gricigano d’Aversa)”, spiega il magistrato sulla scorta di una sua indagine (di qualche tempo fa) in territorio toscano.
Altra puntualizzazione, quella sui famosi “colletti bianchi”. “Lo dico da dieci anni – esordisce Sirignano – quelli che chiamiamo colletti bianchi, ovvero avvocati, professionisti, magistrati, notai, sono il cardine delle organizzazioni mafiose. Non sono più soggetti di cui si serve l’organizzazione, sono lo strumento essenziale per il controllo del tessuto sociale, per il controllo delle attività. Competenze, relazioni, conoscenze, accesso ai salotti buoni delle città, consentono al capitale mafioso di inserirsi nell’economia virtuosa. Non è più neanche un discorso di economia pubblica, si sta parlando di economia tout court, che è qualcosa di diverso. Oggi controllare le risorse pubbliche, problema attuale perché stanno arrivando i soldi del Recovery Plan, è un problema serissimo, ma ciò che viene preso di mira è l’economia legale”, quella territoriale sana, fatta da imprese legali. Il che provoca un gravissimo corto circuito: una volta insinuati i capitali inquinati nel sistema sano privato, sarà difficilissimo rintracciarli.
Un sistema che può essere ancora più complicato se si ipotizza l’avvicinamento (già in parte avvenuto) delle mafie ai nuovi sttumenti finanziari, ad esempio ai fondi di investimento. Con una complicanza ulteriore, dovuta al problema delle smart cities, con la loro massa di, ad esempio, cittadini temporanei o lavoratori in smart working. Gente che potrà sparire e riapparire in zone diverse, o magari apparire in un luogo dove vive solo virtualmente. Scherzi del web, che potrebbero però offrire infinite varianti di business e fuga ai criminali. Certo, conclude Sirignano, “è inutile e impossibile chiudersi”. Bisognerà tuttavia prendere misure concrete, dall’informatizzazione degli apparati amministrativi in particolare giudiziari, alle competenze informatiche degli addetti alla sicurezza nazionale e non solo, almeno europea. Sperando, per una volta, come conclude il presidente Calleri, di “essere un passo avanti a loro”. Loro, ovvero le cosche criminali, italiane e straniere.