Calcio, l’Italia ai confini dell’impero

La debacle delle squadre italiane in Europa è la cartina tornasole della crisi profonda in cui versa il mondo del pallone

Alessandro Iori

Se mai c’erano ancora dubbi, sono bastati sette giorni a cancellarli. Se ancora esisteva qualche sacca di ottimismo, in pochi giorni è stata completamente svuotata. La settimana da lunedì 22 agosto a domenica 28 ha zittito chi ancora si ostinava a proclamare la competitività del calcio italiano. In breve, queste le tappe: lunedì 22 il Napoli, terzo nell’ultima serie A, viene ridicolizzato a Barcellona. 5 gol e 4 pali concessi agli avversari, una prova d’impotenza assoluta contro i marziani blaugrana, per altro in versione amichevole, con titolari e giovanissimi miscelati sapientemente da Pep Guardiola. Mercoledì 24, l’addio dell’Udinese alla Champions League: dopo la sconfitta con l’Arsenal all’andata, 1-0 a Londra, l’amaro bis al Friuli, 2-1 per i Gunners. Segnatevi questo risultato, tornerà d’attualità fra poche righe.

Giovedì 25, finisce subito l’Europa League della Roma. La rivoluzione americana di Tom Di Benedetto inciampa sul primo ostacolo, lo Slovan Bratislava. Mica il Real Madrid, direbbero al bar. Contestazioni pesanti a Luis Enrique, neotecnico giallorosso, in rotta di collisione col totem Totti. Venerdì 26: dopo una querelle trascinata per mesi ed esplosa fragorosamente a tre giorni dall’inizio (teorico) del campionato, la FIGC ufficializza lo slittamento della prima giornata di serie A. Conseguenza amara e tragicomica del braccio di ferro tra Assocalciatori e Lega Calcio, coi giocatori nel ruolo di strumenti involontari e ingenui della guerra dei presidenti contro il presidente federale Abete. E mentre la domenica degli appassionati italiani trascorreva forzatamente senza calcio, ecco gli ultimi colpi alla credibilità di un movimento decadente.

Ricordate l’Arsenal? Quello che ha battuto due volte su due l’Udinese, la candidata italiana a entrare nel tabellone di Champions League? Ecco, lo stesso Arsenal, a quattro giorni dalla vittoria di Udine, ne prende 8 (otto gol – otto!!!) dal Manchester United vicecampione d’Europa. 8-2 all’Old Trafford. E dire che l’Udinese era stata applaudita, elogiata dalla critica. “Eroica”, “commovente”, “sfortunata” gli aggettivi più utilizzati per descrivere la prestazione europea della squadra di Guidolin. Ecco: l’8-2 subito dall’Arsenal è l’unità di misura, addirittura brutale, che marca la distanza tra il nostro calcio e l’elite europea.

C’era una volta la serie A versione NBA del calcio: tutte le stelle giocavano da noi. Ora, le poche stelle che passano da qui, se ne vanno in fretta: nelle ultime settimane è accaduto a Pastore prima, a Eto’o poi. Da questa stagione, solo due squadre andranno direttamente in Champions League. La terza farà i play off (fatali nelle ultime due edizioni a Samp e Udinese). La quarta è passata alla Germania, merito del ranking Uefa. Le nostre rappresentanti, fatta eccezione per la vittorie europee, entrambe ricche di coincidenze, dell’Inter nel 2010 e del Milan nel 2007, a marzo spariscono dalle coppe. Lo stato di salute medio è ben fotografato dalla Coppa Uefa/Europa League: negli anni 90 l’abbiamo colonizzata, dal 2000 in avanti non abbiamo piazzato nemmeno una finalista.

Dirigenti, stadi, risorse economiche, investimenti sui giovani: in Italia, al momento, manca tutto. Nei momenti di crisi ci si dovrebbe affidare alle buone idee, alle innovazioni. Ma per ora non se ne vedono all’orizzonte. Negli anni 80 toccò ad Arrigo Sacchi scuotere la polvere del nostro calcio: amato o odiato, è un dato inconfutabile che dopo il profeta di Fusignano il pallone italico sia tornato al centro della scena internazionale. Che sia un profeta rivoluzionario o una sterzata dirigenziale, di certo il tempo di una svolta non può più essere rimandato. In caso contrario, l’emarginazione dall’impero del pallone sarà sempre più estrema.

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