Nella battaglia sulla #buonascuola mi hanno colpito due o tre cose. Innanzitutto il clamoroso errore di calendarizzazione parlamentare a ridosso della fine dell’anno scolastico e della fine di una campagna elettorale che prevedibilmente avrebbe acceso i riflettori politici sul l’unico tema in grado di attirare attenzione, irrigidendo tutte le forze in campo.
Poi l’incapacità del governo di fare uscire il confronto dal cliché della contrapposizione frontale, anzi contribuendovi, smentendo atteggiamenti e propositi inizialmente simpatizzanti con il mondo della scuola e dello status dei docenti in particolare.
Dall’altra parte mi hanno amareggiato e preoccupato i toni e le scelte delle cosiddette minoranze interne al Pd. Se un gruppo consistente di parlamentari assume la decisione di contrapporsi sistematicamente nelle sedi parlamentari alle scelte del governo guidato dal segretario del proprio partito, si pone un problema serio, oltrechè un precedente preoccupantissimo, proprio sotto il profilo del senso di appartenenza a un partito e a un gruppo parlamentare.
Non affrontarlo “pro bono pacis” non mi sembra la scelta migliore.