Firenze – Dopo l’operazione, fortemente contestata, di “Scuole Belle” sulla (scarsa) manutenzione degli edifici, la scuola pubblica si prepara alla rivoluzione de “La buona scuola”, che da piano programmatico è pronta per essere tradotta in legge tra meno di 2 settimane. Ma non tutti credono che sarà, per dirla alla Renzi, la volta buona per una buona scuola. Dopo anni di tagli, incuria e calcinacci sulla testa degli studenti, il miliardo di euro -già previsto in finanziaria per le assunzioni di 150mila docenti precari- è considerato poco più di una goccia nel mare dello smantellamento della scuola pubblica. Già strutturalmente stremate, se non addirittura abbandonate, le scuole potrebbero vedere definitivamente minato il loro ruolo di luogo di formazione dei futuri cittadini. Perché “se da un lato il piano de ‘La buona scuola’ promette tanto, dall’altro minaccia altrettanto– afferma Dario Furnari, docente precario al nono anno d’insegnamento in un liceo pistoiese – nelle 136 pagine del documento, che dovrebbe tradursi in decreto legge il 26 febbraio, le assunzioni dei docenti precari hanno come contropartita la burocratizzazione della scuola”. Il che significa classi sempre più affollate, docenti prestati all’amministrazione, convitti che saltano in nome della spending review, scatti d’anzianità sostituiti da quelli di (un imprecisato) merito. “Non sarà più una scuola, ma un’azienda- precisa ancora Dario– alla cui guida ci sarà un sempre più forte dirigente” (o preside, per dirla con una parola d’altri tempi). Con buona pace della qualità della didattica.
“Il piano de ‘La buona scuola’ è inserito in un progetto politico poco chiaro: per ora dei 3 miliardi necessari solo uno è previsto in finanziaria. E per quello che si può leggere tra le righe del documento – continua Dario- gli altri 2 vengono recuperati andando a modificare la figura del docente, e cambiando il contratto di lavoro senza alcuna consultazione”. Nello specifico, “il docente non avrà più una propria classe ma sarà inserito nell’organico funzionale’ della scuola e, a discrezione del dirigente, potrà essere impiegato in ruoli più meramente amministrativi, o per coprire le supplenze”. Si azzerano le supplenze, dunque. Un bene, no? Mica tanto. Perché tanti altri precari continueranno a riempire le lunghe graduatorie, formatesi con l’ultima infornata di docenti del concorso Profumo del 2011 e 2012, nella speranza di un varco per entrare a scuola. Varco, che fino ad ora, era stato garantito appunto dalle supplenze.
“E chi sarà assunto diventerà una specie di precario di ruolo” spiega Dario, alla mercé dei bisogni contingenti della propria scuola-azienda. Così per Dario potrebbe non essere così scontato continuare ad insegnare storia e filosofia, ma potrebbe ritrovarsi ad insegnare materie affini, e per le quali non ha studiato. “Tutto si può fare, per carità. Ma se io mi sono preparato, negli anni, all’insegnamento di alcune materie non è detto che sappia insegnare al meglio anche altre”. Così come non sarà scontato poter continuare a lavorare nella provincia prescelta, perché “potrà succedere che se vuoi la cattedra- prosegue Dario- devi spostarti in un’altra città, o persino in una regione diversa. Come se nessuno di noi non avesse anche una famiglia”.
Un altro punto fortemente criticato riguarda gli scatti di merito, che andranno a sostituire quelli d’anzianità: “Innanzitutto non è chiaro cosa s’intenda per merito, e un concetto così relativo può essere interpretato in maniera fin troppo personale dal dirigente scolastico” precisa Antonio D’Auria, insegnante in un convitto pratese, dopo 10 anni di precariato. Senza considerare che i vecchi scatti di merito erano l’unica, e modestissima, forma di scatto reddituale.
E per chi, come Antonio, insegna nei convitti, i problemi si moltiplicano, con tagli fino al 40% del corpo docente: “Il convitto è l’ultimo baluardo di universalità, un modello di servizio sociale che resiste alle esternalizzazioni, rivolto a tutti i ragazzi che hanno bisogno anche di un luogo per studiare nel pomeriggio e dormire la notte, perché sono studenti che abitano in luoghi disagiati, di confine, o hanno alle spalle famiglie problematiche. Purtroppo a partire dal 2008 si è proceduto con una serie considerevole di tagli degli educatori, e persino di chiusure. Nella sola provincia di Massa, stanno per esserne chiusi due. Un altro convitto per ragazzi sordi è stato chiuso a Torino”. Motivo? “Non c’è mercato per i più deboli. Dal nostro punto di vista, l’attacco alla scuola pubblica è già iniziato da molto tempo”.