Firenze – In ogni cultura, alla luce associamo il bene, la conoscenza, la verità, la giustizia. E al buio? Solo falsità, ignoranza, oscurantismo? Eppure,-rileva Francesca Rigotti autrice del libro che s’intitola appunto Buio (Il Mulino 2020) se le cose fossero sempre immerse nella luce, finiremmo per ubriacarci di un’illuminazione insopportabile per occhi e mente, condannati a non cogliere più nemmeno la bellezza di un cielo stellato.
Quindi il buio come momento di attesa e decantazione del pensiero, il buio che abita nelle regioni dell’immaginazione e può essere fonte di idee irraggiungibili alla chiara luce del giorno. La Prof. Rigotti, docente nell’Università della Svizzera italiana., (ha insegnato anche presso l’Università di Göttingen) spiega che riscoprire il buio come esperienza ci riconsegna a noi stessi e che se la luce eccita la mente, il buio ci fa entrare in rapporto col nostro centro. Ci offre la possibilità di una visione «interna», ci serve per pensare.
Abbiamo esaminato con l’autrice di Buio (che fa seguito a numerosi altri saggi tra cui Il filo del pensiero , Gola, La filosofia in cucina , Onestà e “De senectute” ) alcuni dei temi trattati nel libro.
D. Il buio è stato considerato come il non essere, come l’assenza di luce. Invece è un’ “entità” autonoma?
R. Anche se l’idea comune è che il buio sia “assenza di luce”, devo dire che già i poemi omerici studiati a scuola mi rivelarono che il buio era per gli antichi greci una cosa, un’entità: una nuvola nera, un’ombra oscura, una notte di tenebra che sottrae al morente la luce della vita. Del resto, per una cultura immersa letteralmente e metaforicamente nella luce come quella greca, nascere era “venire alla luce”, e morire perdere la luce. Questa dimensione così affascinante è stata soppressa, oltre che dalla visione ebraico-cristiana, dove il respiro-anima ha la meglio sulla luce, anche dalla scienza moderna, quando Newton decretò che il colore dell’oscurità, il nero, era, analogamente al bianco, un non-colore: buio divenne una non cosa, privata di dimensione ontologica e insieme di rispetto e attenzione.
D. Il buio ha sempre avuto cattiva stampa . Nelle religioni ad esempio, ma non solo….
R. Nelle religioni, nella filosofia, nell’antropologia, nelle favole (l’”uomo nero”), nella psicologia, in morale (un’”anima nera”).Dappertutto il buio ci fa una magra figura, chiamato com’è ad accompagnare situazioni di angoscia o di mancanza, di indegnità morale e di peccato, e via di seguito.
D. C’è una valenza negativa in ogni azione umana accompagnata dall’oscurità. Lei cita la notte degli imbrogli, l’inganno del cavallo di Troia. Eppure il buio è bello. Perché?
R. Nell’oscurità di notti non ancora artificialmente illuminate l’immaginazione colloca il mostro, l’assassino, il criminale che ci minaccia, la creatura di Frankenstein o il vampiro. Il buio ci accompagna in situazioni di vergogna (“vorrei sprofondare”), di inganno (Ulisse e i compagni attendono nel ventre buio del cavallo il momento per compiere la strage notturna), di paura, del peccato (che oscura l’anima e la allontana dallo splendore della sapienza e della grazia divina), infine di ignoranza, per es. nel buio della caverna platonica. Eppure è bello, bellissimo, il buio: corrisponde all’interno della coscienza e dell’intimità, è il luogo della meditazione, della riflessione e dell’introspezione. E’ anche il luogo/momento della quiete fisica e della calma interiore, di cui scrive Foscolo, quando il suo spirto guerrier si placa al buio della sera che porta via le preoccupazioni.
D. Nel XIX secolo l’illuminazione delle città segnò il trionfo della modernità, la vittoria del positivismo sull’oscurantismo. Ma fu davvero così ?
R. Nel libro seguo una pista “materiale”, quasi “realista” che nota la scomparsa del buio a causa dell’illuminazione artificiale e propone una difesa dall’eccesso di luce o inquinamento luminoso; e una pista immaginaria e metaforica, che rivaluta quello che chiamo “il sapere del buio”. Ne fa parte per esempio il grande tema della cecità come preveggenza, ovvero della visione profetica che gli antichi ritenevano che in qualche modo superasse e compensasse la perdita materiale della vista: vedi Edipo, vedi l’indovino cieco Tiresia con il quale si identificava Andrea Camilleri, quando attribuiva alla propria stessa cecità uno stato di alta capacità percettiva sensoriale, non però la previsione del futuro. Tornando alla domanda – scusate, ho divagato – noto che la modernità non è stata sempre e soltanto progressista e illuminata, anzi: come la mettiamo con il lato oscuro di tante invenzioni e scoperte, dall’atomo all’Intelligenza Artificiale, che portano energia e conoscenza nel lato chiaro ma pure, nel lato oscuro, distruzione e sorveglianza?
D. Nella letteratura e nella storia ci sono anche ammiratori del buio…
R. Ammiratori del buio furono certamente i Romantici e Novalis, ma anche Nietzsche. Basta pensare al Canto notturno dello Zarathustra, che si innalza nella notte romana in cui “parlano le zampillanti fontane” e Zarathustra-Nietzsche diventa fontana zampillante desiderosa di essere oscura e notturna. E si potrebbero citare Leopardi, Pascoli, la filosofa Maria Zambrano. Io stessa, si parva licet, sono una ammiratrice del buio e della vista notturna, forse per gli occhi da gatto che mi ritrovo.
Foto copertina: Notte stellata, Van Gogh, Wikipedia