Brotini, Cgil: “Confindustria sbaglia i conti, anche quelli economici”

Firenze – Nuovo DPCM, il lavoro è alla ribalta. Dovrebbero fermarsi le attività lavorative, ma Confindustria frena e reintroduce, stando a quanto dicono i sindacati, attività non essenziali nella lista. Battaglia innescata, scoppia la guerra con i sindacati. Stamptoscana raggiunge il sindacalista della Cgil Maurizio Brotini, per fare il punto della situazione.

D. Cosa induce secondo lei Confindustria a rendere così difficoltoso il provvedimento speciale di “fermo” delle fabbriche in tempi di pandemia?

R. Vorrei rispondere innanzitutto ricordando che la pandemia non è debellata, tutt’altro: si muore, si continua a morire e si muore male. Il contrasto alla pandemia, ad ora basata essenzialmente sul rallentamento del contagio, coinvolge comportamenti individuali e collettivi importanti dentro e fuori i luoghi di lavoro. Come è evidente, non è stata portata avanti in modo sufficiente la gestione della sicurezza dei lavoratori, che si sentono scoperti e mandati in trincea senza adeguate protezioni. Per cui, è consequenziale che, dove non è possibile o non c’è stato modo di utilizzare il distanziamento, bisogna  bloccare le produzioni, perlomeno quelle non essenziali.

D. E’ ciò che avete chiesto al governo Conte?

R. Ricordo a tutti che la necessità di garantire la sicurezza dei lavoratori era stato il punto dirimente del protocollo firmato il 14 marzo scorso, vale a dire 9 giorni fa, anche se sembra un secolo. Vista la difficoltà oggettiva di mantenere la sicurezza e il crescere del contagio, abbiamo ritenuto necessario chiedere interventi decisi. Del resto assistiamo a un paradosso inaccettabile: è vergognosa la militarizzazione della vita sociale e gli inviti reiterati a restare a casa, quando lo stesso cittadino bersaglio degli avvisi e dei controlli, deve andare al lavoro, è costretto a lavorare in condizioni di non sicurezza e in attività non necessarie. I lavoratori non sono carne da macello, è bene che si faccia mente locale su questo”.

D. Dunque, quali sono i provvedimenti che intendete prendere?

R. Premesso che chiediamo al governo di resistere con maggior forza alle pressioni di Confindustria, interessata soltanto al misero profitto di impresa senza una visione generale, riteniamo del tutto inadeguato, rispetto all’obiettivo di contenimento del virus e perciò della tutela dei lavoratori e cittadini, il Decreto, ancor di più considerando il metodo, inaccettabile, con cui si è giunti alla sua definizione.

D. Ricordiamo che, come riporta Repubblica, in un tweet della Cgil si legge “Aperto deve restare solo l’essenziale. Il sindacato è pronto alla mobilitazione e anche allo sciopero generale per difendere la salute”, con cui Cisl e Uil concordano. Del resto, Confindustria oppone che il fermo delle attività configurerebbe un danno economico gravissimo.

R. Si parla dei “conti economici”? Bene, Confindustria sbaglia anche su quello: la produzione, in un sistema globalizzato come il nostro, è destinata a fermarsi comunque, in quanto, nel tempo breve, mancheranno i semilavorati. Non tocca a me ricordare che le catene di produzione ormai sono a livello mondiale, i “pezzi” delle produzioni sono fatte all’estero, in una logica di attività produttiva diffusa a livello del pianeta. In una pandemia, sono  proprio i passaggi delle produzioni intermedie ad essere bloccati, via via che questa procede nel mondo. E in un mondo globalizzato, è proprio la logica pandemica ad avere la meglio, bloccando di fatto il meccanismo. Pensiamo solo a cosa succede se per esempio si bloccano le catene della logistica; il risultato è il blocco del prodotto finale. Ma queste logiche banali  non possono sfuggire a Confindustria, che vorrebbe scaricare sullo Stato e dunque in ultima analisi  sui lavoratori, un elemento antico che si chiama “rischio d’impresa”. Il punto infatti è: chi paga? Di sicuro, dalla pandemia una  lezione sta emergendo con chiarezza:  mai come oggi è evidente che bisogna rompere con l’ideologia neoliberista del mercato e con il primato dell’impresa privata. Se ne esce soltanto con una rinnovata presenza pubblica nell’economia, una tassazione forte sulle rendite finanziarie e immobiliari, con il primato di beni e servizi di utilità sociale. La globalizzazione neoliberista ci presenta il conto, e a pagare sono sempre gli ultimi. Se vogliamo avere una prospettiva, bisogna cambiare radicalmente strada”.

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