Brava Annalisa! Ecco perché era doveroso rinviare la mostra fotografica fatta in collaborazione col Governo russo. Quando le vite contano più delle esposizioni

Finalmente la “cultura non sta al suo posto” e cancella (momentaneamente) la mostra col Governo russo prevista nell’ambito di Fotografia europea. L’assessora Rabitti (cui va il nostro plauso incondizionato) prova a spiegare le ragioni di opportunità ed i valori artistici di pace e fratellanza a frotte di trinariciuti social tra i 60 e i 70 anni

Qualcuno forse si starà chiedendo perché l’unica città italiana di cui si abbia notizia che abbia deciso per ora di non proiettare su alcuno monumento pubblico i colori della bandiera ucraina sia stata Reggio Emilia. Il motivo è presto detto: perché L’Ucraina, con cui siamo tutti (più o meno) solidali, è lontana mentre il filosovietismo o la russofilia sono vicine, vicinissime, praticamente all’interno dei meccanismi di governo locale.

Basti guardare, per chi ha tempo da perdere come il sottoscritto, i movimenti social di pezzi importanti, anche gloriosi in un certo senso, della Reggio di sinistra che contava o conta perché ha comunque figli o parenti stretti allignati in stanze di primo piano dell’amministrazione, intesa nel senso più ampio del termine. Da cui emerge chiaramente un pensiero dominante che contrappone nettamente la Nato (che resta un’organizzazione di libere democrazie da cui si può uscire anche solo volendolo) al blocco, diciamo così, composto da Russia e satelliti vari dove il tema dei diritti civili è leggermente messo in discussione. Valgano per tutti le immagini dei giovani russi che protestano contro la guerra e vengono caricati in massa sui camioncini della polizia con destinazione carcere.

L’assessora Rabitti

Ovvero il clima che aleggia nel (neanche tanto) retropensiero è quello di una sopravvissuta Guerra Fredda in cui l’Occidente coloniale e l’America capitalista sono l’indegno contraltare di una Russia comunista e dunque giusta e che, ammesso e non concesso ogni tanto possa sbagliare, tipo oggi che bombarda civili indifesi di uno Stato con esecutivo liberamente eletto, avrà comunque i suoi buoni motivi. Una cortina di ferro che divide ancora le menti di 60-70enni tirati su a pugni chiusi e socialismi reali. D’altronde non s’hanno da fare troppo le pulci ai comunicati: ad esempio quello dell’Anpi provinciale (ben diversamente da quello nazionale) non riporta una mezza parola di condanna all’aggressione sovietica.

Tengono bordone alle prese di posizione social di cui sopra il variegatissimo e fortissimo movimentismo della più varia natura ma dalla precisa collocazione, frotte di ex amministratori anni ’70 ed ’80 ed anche opportunisti vari che vengono da culture diverse ma che sanno bene che solo aderendo alla vulgata dominante a queste latitudini si continua a sopravvivere dignitosamente senza nemmeno cercare un lavoro. E così, mutatis mutandis, coi fattori che cambiano nell’incedere inesorabile degli avvenimenti storici e nello scompaginamento e relativo riallineamento di popoli e nazioni, si rimane preda di ideologizzazioni di mezzo secolo fa e passa e, cosa ben più grave ma che ne è la logica scaturigine, non ci si accorge di passare, di certo involontariamente, da quella parte fascisteggiante nelle intenzioni e nei modi che si è cercata (giustamente) di combattere per tutta una vita.

Ecco perché, a nostro modo di vedere, la cancellazione della mostra organizzata col Governo russo nella prossima edizione di Fotografia europea, rappresenta, nel contesto trinariciuto di questa città, un atto coraggioso cui va dato doveroso atto sia a Palazzo Magnani, che all’amministrazione comunale che nello specifico all’assessora Annalisa Rabitti. La quale ha cercato di spiegare le ragioni del “niet” alla folla social perlopìù recalcitrante allo stop ed inneggiante all’intangibilità dell’arte come concetto astratto assoluto (già, già, bisognerebbe informarsi su che fine abbiano fatto nel corsi dei decenni gli artisti russi anti-regime…).

Non si tratta di censura ma di applicare finalmente alla lettera quello slogan reggiano fino ad oggi quasi incomprensibile della “cultura non starà al suo posto”. La mostra russa si potrà fare all’indomani del cessate il fuoco e chi vi scrive sarà ben lieto di mettersi in fila per andare ad apprezzarla. Ma oggi, con un popolo bombardato per volere dell’autarca nazionalista, soprattutto quella di natura pubblica deve servire come arma pacifica e diplomatica per isolare almeno simbolicamente l’atto di follia putiniana. Se non ora quando? Ecco che allora la cultura si mette a servizio dell’espressione e dei valori di pace e convivenza che, a prescindere dai contenuti formali, riesce ancora a trasmettere. Perché le mostre si possonom rimandare, le vite spezzate sotto le bombe invece non si potranno riavere mai più.

 

 

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