Interviste a pagamento, sette capigruppo a giudizio

La Procura della Corte dei Conti contesta 100mila euro spesi indebitamente da consiglieri regionali dell’Emilia-Romagna.

Sette capigruppo del consiglio regionale dell’Emilia-Romagna sono stati citati in giudizio dalla Procura Regionale della Corte dei Conti per le cosiddette “interviste a pagamento”, ovvero l’utilizzo dei fondi assegnati ai gruppi per l’acquisto di spazi di programmazione resi disponibili dalle emittenti televisive locali negli anni 2010, 2011 e 2012.

Davanti alla Corte il 9 luglio 2014 dovranno comparire Marco Monari (Pd), Luigi Giuseppe Villani (Pdl), Gian Guido Naldi (Sel), Roberto Sconciaforni (Fds), Silvia Noè (Udc), Mauro Manfredini (Lega Nord) e Andrea Defranceschi (M5S). La cifra contestata (e che la Procura chiede che i consiglieri siano condannati a pagare alla Regione, come risarcimento) è di circa 100mila euro, di cui 70mila sono contestati alla sola Lega Nord. Le risorse impegnate, in sostanza, per i pm contabili non rispettano il vincolo di destinazione delle spese di funzionamento.

La vicenda era esplosa nell’agosto del 2012, quando erano state denunciate sulla stampa le fatture del gruppo consiliare del Movimento 5 Stelle nei confronti dell’emittente 7 Gold. L’ex grillino Giovanni Favia, allora nel gruppo, aveva ammesso di avere pagato per apparire nei programmi di informazione sulle emittenti locali: “L’informazione non è libera, continuerò a pagare per andare in tv”, aveva detto. Da quel momento lo scandalo si era esteso a macchia d’olio e la lista dei consiglieri regionali accusati di aver acquistato spazi televisivi su emittenti locali per essere intervistati si era allungata fino a ricomprendere tutti i gruppi.

Secondo i magistrati contabili, per apparire nei programmi di informazione non si deve pagare, tanto meno coi denari dei cittadini. “Il pagamento di un corrispettivo da parte di un soggetto politico per acquisire dall’emittente, in forza di un contratto (…) la disponibilità di uno spazio televisivo o radiofonico all’interno di programmi di informazione o di comunicazione politica” – si legge nella citazione a giudizio – rende quel contratto e dunque quel pagamentonullo per illiceità dell’oggetto”.

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