“A Siena chi doveva fare il proprio dovere non ha controllato”, ha spiegato ieri, venerdì 15 febbraio, l’economista Tito Boeri, intervenuto al convegno nazionale sulle fondazioni bancarie organizzato dal think-tank NoiseFromAmerika. “Nel caso Mps – ha aggiunto – ci sono aspetti patologici, ma il caso senese ha rivelato la situazione generale del ruolo della fondazioni bancarie nella governance delle banche italiane. Sono state usate dalla politica come canale d’ingresso nel mondo economico, cambiandone le strategie d’investimento e creando un circuito negativo che ha distrutto un patrimonio che avrebbe dovuto essere usato per sostenere progetti di utilità sociale. L’utilizzo è stato invece principalmente verso la costruzione di carriere e posizioni di potere nel sistema bancario. Per il futuro credo si debba assolutamente andare verso forme di separazione tra fondazioni e banche, anche per salvaguardare le fondazioni stesse e permettere loro di sostenere progetti di pubblica utilità, di cui in un momento di crisi c’è davvero bisogno. Allo stesso tempo ciò permetterebbe ai banchieri di concentrarsi nel fare il loro mestiere, con beneficio per tutto il sistema economico. Bankitalia ha fatto il proprio dovere con una pressione costante e continua, ma se avesse avuto poteri più forti avrebbe potuto rimuovere il management di Mps. Tra le autorità di regolazione, chi non ha fatto il proprio dovere è semmai il ministero del Tesoro, che avrebbe dovuto avere un controllo molto più serio sulla fondazione Mps”.
All’appuntamento fiorentino è intervenuto anche Michele Boldrin, tra i fondatori di “Fare per Fermare il Declino”. NoiseFromAmerika, nei mesi scorsi, ha contribuito in maniera decisiva alla nascita del movimento guidato da Oscar Giannino. “Chiediamo – ha dichiarato Boldrin – che Bankitalia riconosca che di fatto Mps è una banca nazionalizzata, e ciò permetterebbe di raggiungere tre obiettivi: riconoscere che a comandare siano i cittadini italiani che ci hanno messo i soldi attraverso i Tremonti bond; permettere di completare il cambiamento del management della banca con uomini indipendenti e non di estrazione politica, commissariandola anche per il tempo strettamente utile a controllare a fondo i conti; accedere infine al fondo salva-banche dell’Unione europea, con un alleggerimento del carico sui cittadini italiani. Il problema vero è che le banche continuano a fare poco credito, meno di quanto sarebbe necessario. Gli istituti sono sottocapitalizzati, e la stretta creditizia è un problema ancora peggiore delle tasse di Monti: un governo responsabile deve forzare in tempi brevi le banche italiane a ricapitalizzarsi e tornare a concedere credito. Se questo significa un cambio nel pacchetto di controllo, così sia". "Il caso della Fondazione Mps – ha proseguito – non è così diverso da altri casi, quello che è successo a Siena può succedere con altre grandi banche italiane e non è il caso di correre questo rischio. Il processo di controllo partitico delle grandi banche attraverso le Fondazioni è iniziato vent’anni fa, e continuare a proteggere questo controllo implica fare un danno all’economia italiana, perché porta a mantenere istituti sottocapitalizzati con un costo altissimo per il Paese. Il sistema senese è andato, questo i cittadini devono accettarlo. Perché quel sistema ritorni, occorrerebbe convincere gli italiani a fare un grande regalo alla città di Siena, un regalo di diversi miliardi. Ne dubito. Per la città di Siena ora la questione è mantenere gli uffici direzionali, l’attività e l’indotto: lo può fare solo se accetta e spinge per mantenere la propria indipendenza in una ricapitalizzazione in tempi rapidi aperta però ad azionisti esterni. Oggi esiste il rischio di uno scorporo e che la banca venga assorbita da altri, quindi la città deve riuscire un ambiente appropriato perché il centro resti lì e la gente continui a lavorare a Siena. Un po’ come accade a Trieste con le Generali, insomma. Come evitare che riaccadano cose del genere? Servono controlli più rigorosi, la possibilità di forzare ricapitalizzazioni serie e sfatare il mito delle grandi banche: ad averne oltre una certa dimensione non ci sono grossi vantaggi. E se la banca è di media dimensione, i guai che può fare l’amministratore sono sempre relativi. Altrimenti, con una grande banca, i guai sono quelli che vediamo”.