Parigi – Nikolai Vavilov era un visionario convinto che la biodiversità agricola fosse per il genere umano la pietra angolare di una migliore sicurezza alimentare. Per preservare questo patrimonio che riteneva essenziale per l’umanità il botanico russo per 20 anni aveva percorso il mondo, raccogliendo semenze, germogli e pollini spesso a suo rischio e pericolo, sfidando tifo, malaria e bestie feroci.
Un piccolo museo a San Pietroburgo, a pochi passi dall’Eremitage, ricorda l’exploit di questo instancabile missionario nato in Russia nel 1887 che grazie alle sue 115 spedizioni in 64 diversi paesi di vari contenenti, è riuscito a mettere insieme 327.000 campioni di semi di piante sia coltivate che selvatiche.
”Era stato il primo a capire i pericoli legati all’erosione genetica. Aveva capito che tutti gli elementi della natura sono interconnessi”, ha dichiarato al quotidiano parigino “Le Figaro” Nikolai Dzyubenko, l’attuale direttore dell’Istituto Vavilov, la più antica banca di semenze al mondo –era stata creata nel 1894 quando non esistevano concimi e pesticidi chimici – e la quarta per grandezza tra le 1.700 banche nazionali di questo tipo esistenti al mondo.
Ma l’istituto di San Pietroburgo può anche vantare di essere la banca più completa al mondo, dal momento che l’80% della sua collezione è “unica” e ha esemplari introvabili altrove. Altro valore aggiunto della collezione sta nel fatto che per il 40% è arrivata all’istituto prima della Seconda Guerra mondiale. Un exploit da visionario che certo non poteva prevedere che, stando ai dati della FAO, dall’inizio del XX secolo sarebbero scomparsi il 75% dei frutti, cereali, ortaggi e legumi coltivati.
Il pensiero di Vavilov, sostiene il suo successore, dovrebbe essere fonte di ispirazione per affrontare le nuove sfide, e in primo luogo quelle climatiche. A suo avviso le semenze salvate da Vavilov potrebbero possedere le capacità di adattamento necessarie per far fronte alle nuove minacce. Non a caso, ricorda il giornale, è grazie a questo granaio dell’umanità, l’Etiopia ha potuto recuperare un’avena endemica scomparsa dagli anni ’70 che Vavilov aveva raccolta nel 1927 in una pericolosa spedizione a dorso di mulo in cui aveva dovuto difendersi da banditi e leopardi.
Ora sono 700 gli addetti a preservare questo prezioso patrimonio che richiede cure continue. Semi e germogli raccolti sono infatti viventi e tali devono restare. Perciò, con tecniche che vanno dalla coltivazione delle semenze in vari centri sparsi sul territorio russo passando alla congelazione delle semenze o alla loro criogenizzazione, devono conservare intatta la loro capacità germinativa. Unico timore per l’istituto è quello della riduzione dei fondi stanziati, ora scesi al di sotto dei nove milioni di euro. Per ovviare alle difficoltà finanziarie ora l’istituto russo punta anche ad allacciare legami al di fuori dei confini, come ad esempio con la Francia che sta sviluppando un progetto di creare 15 giardini Vavilov nel paese.
Un omaggio al visionario russo poliglotta gettato in carcere da Stalin nel 1940 che aveva bisogno di un capro espiatorio per la carestia che aveva sterminato milioni di persone all’inizio degli anni ’30 quando Vavilov era a capo dell’Istituto pansovietico di botanica applicata. Con la morte di Stalin era venuta però la sua riabilitazione che nel 1967 doveva culminare con la decisione di ribattezzare l’Istituto dandogli il nome dello scienziato.
Foto: Nikolai Vavilov,
(https://journals.ashs.org/hortsci/view/journals/hortsci/50/6/article-p772.xml)