Firenze – Big Data: fra le varie applicazioni di questa sconfinata miniera di dati che proviene dalla rete, potrebbe esserci l’applicazione artistica. Il senso e il valore di questa nuova strada aperta dalla rete è il tema attorno cui ruota l’intervista di Clemente Poccianti, esperto di Big Data e collaboratore di Stamptoscana, al Soprintendente Archeologia belle arti e paesaggio per Pisa e Livorno Andrea Muzzi, classe 1954, primo storico dell’arte a ricoprire l’incarico di soprintendente a Pisa, dopo un lungo susseguirsi di architetti. Laureato presso l’Università degli Studi di Firenze alla scuola di Carlo del Bravo, fra i suoi campi d’interesse la pittura emiliana (Correggio e Parmigianino) e quella toscana (Fra Bartolomeo e la scuola di San Marco) del primo Cinquecento con particolare riguardo alla grafica e alla interpretazione dei significati; la sfragistica medievale e rinascimentale, frutto di una lunga collaborazione con il Museo Nazionale del Bargello. Su questi argomenti, ed altri, ha pubblicato numerosi interventi. Si è dedicato anche alla didattica della Storia dell’Arte, insegnando nei Licei Statali, e all’uso dell’informatica nella catalogazione e nello studio dei beni culturali, dirigendo fin dal 1984 relativi progetti per il Centro di documentazione del Comune di Firenze e per il Museo Nazionale del Bargello. Nel 2012 (concorso indetto 16/5/2006 per Dirigenti Storici dell’Arte) è stato nominato Soprintendente per i Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici della Liguria, con la direzione del Museo Nazionale di Palazzo Spinola. Dal 2015 è a Pisa.
D: Il suo lavoro è incentrato sull’attività di conservazione, di tutela e di restauro in ambito di valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; in che modo i Big Data potrebbero essere utilizzati?
R: “In molte direzioni, tutti gli ambiti che ha ricordato hanno bisogno di una quantità enorme di dati, da un riferimento di tipo culturale quindi di studio come articoli o saggi, fino a quelli catastali che riguardano gli interventi, le segnalazioni e i progetti, tutto questo forma un’idea, un modo di pensare e un percorso sicuramente molto significativi. Le nostre valutazioni e quindi le scelte nel campo di tutti i Beni Culturali sono basate sulla combinazione e sovrapposizione di conoscenze che provengono in via tradizionale dall’esperienza, e dall’accesso a tutte queste informazioni”.
D: Come potrebbe un ufficio come il suo nella gestione del patrimonio artistico e culturale italiano avvalersi dell’aiuto di uno strumento di analisi cosi innovativo?
R: Innanzitutto una amministrazione come quella che ho l’onore di dirigere ha una registrazione di tutti gli atti che entrano e escono di per se stessa già molto complessa, che riguardano sia dati amministrativi che altri dati. Possiamo dire che esiste già un sistema gestionale elaborato, a questo si possono affiancare altri sistemi che già sono stati attivati nel passato ma che ora vanno aggiornati che trattano i singoli casi dal punto di vista architettonico, paesaggistico o storico-artistico.
D: A livello di innovazione digitale la Soprintendenza da lei presieduta è più all’avanguardia rispetto ad altre Soprintendenze?
R: Il Ministero dei beni e delle attività culturali ha una struttura piramidale e noi ne siamo l’espressione sul territorio. Il nostro è un ufficio con personale specializzato su vari settori: si tende il più possibile a percorrere dei progetti di avanzamento del personale per la conoscenza dell’uso dei sistemi digitali, anche se tutto ciò richiede un onere finanziario e di impegno sempre molto alto. Vorrei ricordare che al nostro interno c’è un centro di restauro del legno bagnato (cantiere delle navi romane), un centro di grande eccellenza che ha raccolto una grande quantità di dati vitali per lo svolgimento di tale genere specializzatissimo di lavori.
D: Quanto e come potrebbe risultare essere importante e strategico per voi investire nel digitale compreso l’analisi dei dati?
R: Direi molto strategico e molto importante perché le sfide sono tante e una è quella di riuscire a ridurre sempre di più l’uso della carta a favore del supporto digitale, più adatto per velocità, qualità e precisione di molti dati. In un ufficio come il nostro tutto ciò non è semplice in quanto lavorando su competenze molto diverse spesso diventa, paradossalmente, più facile fare circolare materiale cartaceo in mano a persone con approcci alla materia molto particolari.
D: Nello studio e nella gestione delle opere d’arte l’utilizzo del digitale ha sempre più un ruolo centrale?
R: Certamente. Pensi che ho iniziato la mia attività di studio e di lavoro nel 1983 partecipando al grande census sulla digitalizzazione della storia dell’arte in un centro allora all’avanguardia a Pisa con il CNUCE e il Centro Nazionale Universitario di Calcolo Elettronico della Normale. Da allora molti passi sono stati fatti e oggi credo che nessun storico dell’arte potrebbe lavorare senza una connessione agli istituti di ricerca. Ci sono tantissimi dati che lo storico dell’arte deve verificare e avendo a disposizione dei database specialistici questo consente una velocità maggiore e, cosa ancor più significativa, accesso a informazioni spesso imprevedibili. Ad esempio oggi lo specialista può utilizzare molti database da remoto anche se non bisogna mai sottovalutare la creatività intellettuale.
Sempre di più è interessante potere procedere su una analisi piuttosto ramificata che va a toccare delle notizie che anche lo specialista a volte non può prevedere: ad esempio se esce un breve articolo su una rivista locale e le notizie contenute si ritengono poco significative, uno dei modi migliori per poter rivalutare tale contributo è l’accesso attraverso database informatici. Lo studio tradizionale in Biblioteca nel futuro sarà sempre di più connesso a questo tipo di ricerca.
Bisogna riconoscere però che questi mezzi bisogna saperli utilizzare e in mano ad una persona senza grande competenza, si corre il rischio di entrare in contatto con notizie elaborate in modo scorretto o addirittura con fakenews. Proprio di recente ho assistito a tentativi di una persona molto scorretta, e poco competente, di attribuirsi scoperte negli studi attraverso l’uso spregiudicato della rete.
D: In Olanda un team di programmatori e di storici dell’arte, hanno creato un nuovo quadro di Rembrandt, grazie all’utilizzo di specifici algoritmi per l’analisi dei Big Data; può fare paura una cosa del genere; potrà un giorno l’uomo essere sostituito completamente dall’Intelligenza artificiale?
R: E’ difficile fare delle previsioni. Ritengo che questo tipo di concorrenza fra creatività e mondo della tecnologia non possa far paura: nonostante tutto sono mondi molto diversi, lo studio dei meccanismi celebrali che avvengono all’interno del nostro pensiero e l’applicazione al mondo tecnologico anche se avranno delle possibilità che a oggi, come ho detto, è difficile prevedere rimangono sempre su dei piani diversi. Per fare una battuta, sappiamo che i sentimenti sono gestiti da un sistema di meccanismi chimici all’interno del cervello ma non è che per questo si può dire che la chimica domina i sentimenti. Certo gli studi hanno determinato che tali meccanismi sono alla base dei nostro pensieri, pensiamo ad esempio alla Neuroestetica, è una disciplina che sta facendo dei grandi passi, anche se le cose che ho letto fino ad ora non arrivano a grandi conclusioni anzi arrivano a risultati che per lo storico dell’arte e la sua disciplina restano abbastanza elementari. In conclusione poi il dipinto realizzato dal computer “oltre” Rembrandt non mi sembra fra i migliori!