Firenze – Un centinaio, per un presidio flash-mob che è stato portato sotto Palazzo Vecchio, nel giorno in cui si riunisce la commissione consiliare 9, quella sul lavoro. Un centinaio circa, di più di quanti sono i lavoratori in appalto delle biblioteche che rischiano di trovarsi, nell’impatto terribile col covid, senza più nemmeno quell’incertezza più o meno digerita che ha da sempre accompagnato le loro vite. Giovanissimi e meno giovani, competenti e pieni di esperienza tutti. Perché se il covid ha messo a nudo la precarietà della loro esistenza, il problema di questi lavoratori della cultura risalgono a prima , molto prima, almeno da quando, nel 2007, il Comune di Firenze decise di esternalizzare buona parte dei propri servizi, nella convinzione del tutto politica che ciò avrebbe permesso il risparmio alle casse comunali. Se i risultati furono in buona parte illusori, le certezze furono immediate: vale a dire, il sistema degli appalti dei servizi divennero una fabbrica di precariato. E le storie lo dicono chiaro: fra i lavoratori convenuti al presidio odierno, promosso da Cobas e Usb sotto la spinta dei lavoratori, molti sono nella stessa situazione da oltre 10 anni, legati alle scadenze degli appalti, e, anche nel caso tutto proceda per il meglio, con tutele fortemente indebolite rispetto a chi è stato assunto direttamente dal Comune. Eppure, l’attività è la stessa: meno tutele, stesso lavoro. Un divario su cui qualcuno ha anche cercato di intrufolare una divisione fra i lavoratori, che sembra tuttavia rientrata oggi, nel corso della manifestazione, quando alcuni dipendenti comunali delle biblioteche hanno portato solidarietà ai colleghi in agitazione.
Nella piazza, fra cartelli e interventi appassionati e alcuni anche rabbiosi, passa la presidente della commissione 9, Laura Sparavigna, che non si esime, richiesta, dal fare un commento. Mettendo in chiaro che in questo momento anche l’apertura di 5 biblioteche su 13, che consentono di tornare al lavoro i dipendenti comunali, è uno sforzo per l’amministrazione sotto scacco per le conseguenze economiche del covid, tuttavia offre la propria comprensione a questi lavoratori, assicurando che il consiglio ha ben chiaro le difficoltà in cui si trovano. Anche perché ci si trova veramente alle classiche porte coi sassi: il 30 scade l’appalto, e poi non si sa cosa succede. Alla domanda non sa rispondere neppure il presidente del consiglio comunale Luca Milani, sceso in piazza per parlare con i lavoratori che hanno richiesto la presenza di qualcuno delle istituzioni. Gesto apprezzato, “non foss’altro perché qualcuno ha accettato di metterci la faccia”, come dice Alessio, uno dei lavoratori precari, che aggiunge: “finora di facce ne abbiamo visto poche”. Perché un altro dei motivi che hanno contribuito a far crescere la rabbia di questi lavoratori dimenticati, è stato proprio il fatto di aver indirizzato richieste sul proprio futuro all’amministrazione attraverso tutti i canali, compresa una lettera pubblica, senza aver mai ricevuto risposta. Insomma, lavoratori invisibili.
Eppure, per la legge stessa non è così. Innanzitutto, questi lavoratori svolgono un servizio definito essenziale dalla legge, vale a dire che la preoccupazione per la loro sorte dovrebbe essere fra le priorità del governo cittadino. Ma il problema è ancora a monte, come dice Stefano Cecchi dell’Usb, e dipende strettamente dalla scelta di esternalizzare anche i servizi essenziali operata nel 2007. Tredici anni di esternalizazione che hanno condotto al risultato odierno. Il covid non è stato che un deflagratore.
Ma c’è ancora altro e riguarda le modalità stesse con cui è stato gestita fino ad ora la vicenda. Ad esempio, la scelta dell’Amministrazione Comunale di impiegare dipendenti comunali in sostituzione di questi lavoratori, che, oltre a rappresentare una palese violazione del codice degli appalti, costringe gli stessi dipendenti comunali a vestire gli scomodi panni di chi ruba il lavoro a operatori con cui hanno condiviso per anni la gestione di questi importanti servizi. Una modalità che colpisce duramente l’ organico del personale in appalto, già ridotto all’osso e fiaccato dai turni e dai vari tagli al costo orario nel corso degli anni, ma che inoltre mette a dura prova la qualità e la tenuta del servizio.
Del resto, è la tutela del lavoro che dev’essere tema centrale nella ripartenza post emergenza sanitaria. Un punto che è ben presente nell’ordinanza n. 59 n. 22 della Regione Toscana con il Documento di indirizzo per la riapertura di biblioteche e archivi in Toscana, come ricorda Giuseppe Cazzato dei Cobas. “La Regione raccomanda le aperture delle biblioteche con orari pre covid, oltre al reimpiego dei lavoratori in appalto. Ad ora le raccomandazioni regionali non sono state accolte dal Comune di Firenze, dal momento che il Comune sta puntando solo al risparmio. In altre parole, si ritorna a ciò che diceva Tremonti, con la cultura non si mangia . I lavoratori, quando hanno chiuso le biblioteche, avevano fatto delle proposte indicando tutta una serie di servizi utili alla comunità in particolare in tempi di Covid, anche se non strettamente “bibliotecari”, come l’impiego nei servizi educativi magari contribuendo all’attenuazione del digital divide. Tutte proposte che delineavano ruolo utile per la coesione sociale. A queste proposte l’amministrazione non ha risposto, dal momento che l’imperativo rimane quello del risparmio. Nell’incontro sindacale sul tema è stato anche prospettato che potrebbe essere una tendenza non a breve termine, ma potrebbe riguardare anche il futuro. In poche parole, i soldi stanziati potrebbero essere di meno”.
Una prospettiva da brividi, dal momento che, come dice un lavoratore, “anche un euro in meno significa un lavoratore a casa”. Dunque, nella priorità delle richieste, al primo punto quella di riaprire le biblioteche, presidio indispensabile di un servizio essenziale; far tornare al lavoro gli operatori, ad ora in Fis che terminerà il 15 di giugno lasciandoli senza ammortizzatore sociale; infine, mantenere i fondi destinati alle biblioteche.
Foto: Luca Grillandini