“Morto Caprotti, il dolore di Bersani: «Il suo era un modello straordinario»
L’ex leader del Pd: «Ci vedevamo ogni anno, era venuto a farmi visita quando stavo male»” di Riccardo Bruno (Corriere della Sera)
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«Mi dispiace, mi dispiace veramente moltissimo». Pier Luigi Bersani risponde al telefono. Ha appena saputo della morte di Bernardo Caprotti. È commosso, la voce bassa, realmente rattristato. L’ex segretario del Partito democratico e l’imprenditore che sfidava le coop si erano conosciuti una ventina di anni fa, ed erano subito diventati amici. Da allora un confronto costante, uno scambio di idee partendo da mondi diversi, un rapporto davvero poco consueto cementato però dalla stima e dal rispetto reciproco. «È morto un uomo veramente particolare, che emozionava — ricorda Bersani —. Se n’è andato uno dei più grandi imprenditori italiani. Ma credo di poter dire che il Dottore continuerà a vivere nella sua straordinaria capacità di fare impresa».
Quando vi siete incontrati la prima volta?
«Non lo avevo mai visto fino a quando da ministro, nel 1998, feci la riforma del commercio. Allora scoprii che avevamo incrociato tante idee, aspettative, intenzioni comuni. Da quel momento iniziammo a frequentarci, confrontandoci su questi temi. Lui, ai miei occhi, era l’inventore di un modello straordinario».
Quale?
«Un insieme di tante cose. Innanzitutto, intuito nella localizzazione, poi un’idea chiara della pezzatura del negozio, capacità nella logistica, e soprattutto era un convinto sostenitore dell’importanza della formazione e dell’organizzazione del personale».
Una gestione dei dipendenti che però gli ha attirato non poche critiche.
«È vero che in lui c’era un elemento paternalistico, però alla fine riusciva a combinarsi con un’idea industriale di prima grandezza. Era un uomo che aveva un rapporto intimo con le sue attività, fino alle sue propaggini più estreme. Più di una volta l’ho visto girare nei suoi negozi, sapeva tutto di ogni singolo scaffale, si fermava a conoscere e a parlare con tutti i dipendenti».
Una cultura del lavoro che vi accomunava, che sentiva vicina alla sua formazione di sinistra. Anche se Caprotti era l’autore di un libro come «Falce e carrello», implacabile contro le coop e l’economia «rosse»?
«Io sono stato ministro dell’Industria e del commercio, e voglio bene a tutti. Mi spiace davvero quando la gente seria non s’intende, perché ne deriva un danno per tutto il Paese. Certo, aveva le sue particolarità, le sue convinzioni, le sue idiosincrasie».
Di sicuro, una personalità che non passava in secondo piano.
«In Italia abbiamo dei bravissimi imprenditori, e a lui sicuramente spetta un posto nel piedistallo dei primi, dei migliori. Diceva che quello che sapeva sulla grande distribuzione l’aveva imparato dagli americani. Secondo me, invece, era italianissimo».
Nonostante le differenze tra di voi, era questa serietà e rispetto nell’attività imprenditoriale che vi accomunava?
«Culturalmente, idealmente e politicamente eravamo molto diversi. Ma ho sempre apprezzato soprattutto i suoi tratti di umanità».
Come quando le ha fatto visita dopo che lei era stato male.
«È venuto a casa mia a Piacenza, mi ha fatto una sorpresa. Sono cose che fanno molto piacere e che non si dimenticano».
Era il febbraio del 2014, due anni fa. Vi siete rivisti dopo?
«Ancora un’ultima volta. Mi ha invitato in occasione dell’apertura di un nuovo punto vendita. In genere ci ritrovavamo una volta all’anno, per fare il punto su argomenti che stavano a cuore a tutti e due. Ho ricordi belli dei nostri incontri, molto belli. Mi dispiace davvero tanto che se ne sia andato».