Avete presente quella cosa di Churchill, che ironizzava sul fatto che l’Italia era un Paese con trenta milioni di fascisti e trenta milioni di antifascisti, solo che pareva strano ci fossero solo trenta milioni di abitanti in tutto? Ecco: riassume un po’ quello che potrebbe essere il giudizio complessivo di un osservatore internazionale nei confronti della nostra patria. Trattandosi di Churchill, siccome era molto intelligente, molto cinico e molto ubriaco, può darsi che l’ironia fosse appunto solo questo: ironia: E che in realtà avesse capito benissimo come funzioniamo noi italiani. Circa tutti gli altri voti che ci danno, a volte con sarcasmo, a volte in preda allo sconforto, a volte con disprezzo, ci sentiamo di sorvolare: tanto, alla prova dei fatti, è dimostrato come sia assolutamente impossibile capirci.
Un po’ come la battuta del Duce sul governo (che poi era copiata pure quella): capirci magari è possibile, ma tanto è inutile. Perché il momento dopo entriamo a piedi pari e sparigliamo le carte. Nel 1958, Edwad C. Banfield, illustre politologo statunitense, pubblica un libro dal titolo che è tutto un programma: “Le basi morale di una società arretrata”, scritto a partire dall’analisi della vita sociale di un paesino della Basilicata preso a oggetto di studio. Sua moglie, Laura Fasano, è italiana e può ben fargli da cicerone, e anche da psicopompo, nell’introdurlo al Paese delle Meraviglie che è l’Italia centromeridionale e che, come per il Coniglio Bianco di Alice, è necessario infilarsi in un buco forse senza ritorno per raggiungerlo.
Il risultato, tradotto in e pubblicato da noi nel 1976, è interessane e vale la pena di leggerselo: per spiegare il carattere sociale dell’italiano è necessario coniare un nuovo concetto, “familismo amorale”, ossia la tendenza a fare solo quello che avvantaggia noi e gli altri del nostro immediato cerchio sociale – e solo nell’immediato, vale a dire, senza valutare alcuna prospettiva, neppure a medio termine. Anche solo la rapida e in completissima sintesi circa le conseguenze di questa tendenza fornita da Wikipedia fa abbastanza gelare il sangue: nessuno perseguirà l’interesse comune, salvo quando ne trarrà un vantaggio proprio; chiunque, persona o istituzione, affermerà di agire nell’interesse pubblico sarà ritenuto un truffatore; solo i pubblici ufficiali si occuperanno degli affari pubblici, perché pagati per farlo, i cittadini non se ne occuperanno e se lo facessero verrebbero mal visti; i pubblici ufficiali saranno poco controllati, perché farlo è affare di altri pubblici ufficiali soltanto; i pubblici ufficiali non si identificheranno con gli scopi dell’organizzazione che servono, e i professionisti mostreranno una carenza di vocazione o senso della missione; entrambi useranno le proprie posizioni e le loro particolari competenze come strumenti da usare contro il prossimo per perseguire il proprio vantaggio personale; il pubblico ufficiale tenderà a farsi corrompere, e se anche non lo farà sarà comunque ritenuto corrotto; non ci sarà alcun collegamento tra i principi astratti, politici o ideologici, e il concreto comportamento quotidiano; la legge sarà trasgredita ogni qual volta sembrerà possibile evitarne le conseguenze; il resto, ve lo risparmiamo, ma fin qui come siamo andati? Bene, vero? Per cui, un osservatore esterno potrebbe dire: ma insomma, cosa c’è mai da spiegare, è tutto lì.
Solo che poi si troverebbe ad avere a che fare con le nostre dichiarazioni pubbliche e private, le esclamazioni sui giornali, le tirate sui social networks, le esternazioni nei blog, le rassicurazioni circa la volontà di un agire collettivo positivo e determinato al bene comune. Poi prendi i giornali, le dichiarazioni, la storia, confronti il tutto coi risultati concreti ed è un po’ come quando fai quei frullati salutistici buonissimi che, composti da tanti ingredienti sani e buoni presi ciascuno di per se stesso, il risultato l’unico che può ingollarselo è il lavello. Ricapitolando, abbiamo la Costituzione più bella del mondo ma nessuno l’ha mai letta, se l’ha letta non l’ha capita e se l’ha capita la vuole difendere, e per difenderla l’unico modo è cambiarla, per cui tutti d’accordo e quindi non si cambia; tutti antifascisti salvo poi votare compulsivamente a destra e applaudire a comportamenti che squadristi della più bell’epoca avrebbero avuto timore a parlarne in pubblico, tutti per la libertà di espressione quando non capita agli altri, tutti per la delicatezza nei giudizi ma al tempo stesso per il linciaggio morale, contro la fuga dei cervelli ma pronti a marinare la scuola, tutti a odiare Berlusconi per vent’anni per poi favorirlo alle urne, contro l’establishment quindi lo si favorisce, per l’autodeterminazione ma veloci ad obbedire, moderni eppur retrogradi, mammoni eppur sciovinisti, contro il clero e tutti in Chiesa la domenica, ecologisti e poi comprano il SUV, salutistici e poi mangiano soia, e così via.
Logico pensare che dall’esterno l’unica vera sintesi possibile sia: oh, noi degli italiani non ci abbiamo veramente capito un cazzo. Del resto, il nostro Belpaese è l’unico per il quale esista una cattedra di Italionologia, del quale si studi una delle lingue meno utilizzate del mondo e per il quale esistono appositi tour di studi che inviano qui squadre di esperti per capire come diavolo facciamo, privi di mezzi, privi di cultura, di denaro, di risorse, di organizzazione, a sopravvivere a qualsiasi cosa. E allora, è inutile che sprechiamo soldi per assumere Jim Messina, Stanley Greenberg, David Axelrod per proporre al volgo slogan vincenti coi quali spiazzare la concorrenza. Se veramente la si vorrà spiazzare, per una volta sarà opportuno fare qualcosa di perfettamente logico, razionale ed organizzato: allora sì, gli avversari non sapranno che pesci pigliare. Diamoci pace. Per noi, non bastano le statistiche. Ci vuole un miracolo della Madonna.