Volterra – Quando la Compagnia della Fortezza mosse i primi passi trent’anni fa era fare “teatro in carcere”.
Una formula semplice. Politicamente corretta. Per Armando Punzo non era così. Lo si è visto puntata dopo puntata. Semmai, semplificando, era la vita del carcere che diventava drammaturgia mentre il teatro si metteva in disparte a osservare. Così è anche l’ultima prova, “Beatitudo”, che scaturisce, amplificandosi e dilatandosi, dalla cornice dello scorso anno dove campeggiava il nome di Jorge Luis Borges. Lo scrittore argentino succeduto a Shakespeare quale come fonte ispiratrice.
Borges, poeta sommo di finzioni, costruttore di labirinti, diventa per Punzo un ideale compagno di viaggio. In particolare si fa portatore di domande senza risposte. La sfida di Borges è raccolta da Punzo e rilanciata in un gioco di interferenze e citazioni, cabale e dissolvenze. Borges plana nel cortile del carcere in cinemascope. In formato kolossal: attori, tecnici, macchinisti, comparse, musicisti, scenografie, costumi, la colonna sonora minimal sinfonica di Andrea Salvadori, tutto tende a ridefinire il tempo e lo spazio che sconfinano nella liquidità del piano sequenza. Marcato da un grande specchio d’acqua che occupa tutto il cortile, e che diventa il set dove si svolge l’azione, dove la matematica delle illusioni si confonde con la liturgia dell’indefinito. Sull’acqua scorre e passeggia la vita. E si coltiva la memoria. Punzo crea la sua liturgia borgesiana. Ecco i narratori delfini che nuotano sorridenti e silenziosi; ecco i vessilliferi che paiono usciti della scespiriana foresta di Birnam, canne al vento, incalzati dalla percussioni, dar vita a una bellissima parata coreografica; ecco i libri che scivolano sull’acqua come barchette di carta in balia della corrente; ecco due contadini che sono pescatori, l’uno che getta gocce come semi, l’altro che lo segue e diligentemente li annaffia per farli germogliare. Acqua su acqua. La verità bagnata dalla finzione.
E Borges? Se ne sta da qualche parte, anche lui perso, come noi, nei suoi labirinti esistenziali. “Tutto accade qui per la prima volta, Tutto il passato torna come un’onda e tutte queste cose sono qui adesso” recita. Alla fine, immagine indimenticabile, sintesi di un tracciato che entra ed esce continuamente dal campo visivo, potremmo anche noi, come il bimbo fattosi adulto al termine di questa “esperienza”, camminare sull’acqua: non per grazia ricevuta ma per consapevolezza acquisita: di un tempo che non ci appartiene epperò vale la pena costruire giorno dopo giorno. Anche fingendo e fantasticando. Aiutati da Borges. Rimontato e probabilmente ridotto, per ovvie questioni di spazio, “Beatitudo” domani, domenica 29, esce dal carcere e si trasferisce al chiuso (un paradosso!), sempre a Volterra, sul palcoscenico del teatro Persio Flacco.