Firenze – Piazza Santa Croce, in mezzo alle bancarelle, accanto al trattore, mentre suonano campanacci e si diffonde il profumo delle specialità toscane che allietano visitatori e partecipanti al presidio degli agricoltori, incontriamo la presidente Giovani Coldiretti Veronica Barbati. Trentatrè anni, a 23 ha iniziato la sua avventura aziendale, si è segnalata per la sua bravura e competenza e rapidamente ha guadagnato le stellette di rappresentante dei Giovani agricoltori di Coldiretti.
Qual è il significato della vostra partecipaione al G20?
“Siamo al G20 perché questa è l’occasione per rimettere al centro quelli che sono i grandi temi che ci riguardano, fra cui, in particolare, il ruolo della salvaguardia del suolo, dunque della terra, nello specifico del suolo agricolo. Abbiamo costruito una Rete fra i giovani Agricoltori del mondo, partendo dal G20, per confrontarci e capire si ci fosse una linea comue sulla quale lavorare insieme: intanto sui temi globali, poi, di conseguenza, per farli atterrare anche sul territorio. Oltre al tema della terra, e dunque del suolo, l’altro grande punto per cui siamo qui è il cambiamento climatico, che fra le altre cose investe in pieno il tema del lavoro. Riteniamo che l’agricoltura, da questa visuale, debba essere al centro di tutte le strategie, dal momento che, come ci ha ben dimostrato la pandemia, abbiamo la necessità di raggiungere l’autosufficienza alimentare, traguardo cui ancora non siamo arrivati”.
L’agricoltura è uno dei settori in cui più stanno crescendo le imprese giovanili. Dunque, è il lavoro del futuro?
“Abbiamo sperimentato negli ultimi 5 anni un incremento del 14% di imprese condotte da giovani under 35, sintomo di un grandissimo ritorno alla terra dei giovani che è fondamentale, perché l’agricoltura dovrà rispondere a sfide incredibili, fra cui naturalmente il cambiamento climatico, per affrontare il quale c’è necessità di maggiori competenze e professionalità. I giovani in questo possono dare un grande contributo. L’altra faccia della medaglia sono le problematiche che proprio i giovani sperimentano in modo più pesante, come quelle dell’accesso alla terra e dell’accesso al credito”.
Temi che comunque si ritrovano dentro i due concetti fondamentali di sostenibilità e salvaguardia del pianeta.
“Tutti parlano di questi due concetti. Ricordo sempre a tutti che l’agricoltura non è soltanto un settore economico, ma un sistema che genera tutta una serie di esternalità positive e di servizi ecosistemici che esistono in quanto esiste un’impresa agricola. Penso in particolare alle aree marginali, alle cosiddette “aree interne”, che tuttavia costituiscono il 75% della superficie del nostro Paese. Per cui, non tenere sul luogo le imprese, non creare opportunità e anche una giusta redistribuzione del reddito lungo la filiera, significa spopolare ulteriormente quelle aree, mettere in ginocchio un settore economico, generare dei costi che andranno necessariamente a carico della comunità. Il tema della centralità dell’agricoltura deve essere affrontato in modo concreto, in cui gli investimenti vadano in questa direzione. Ciò significa ad esempio avere cura delle opere infrastrutturali, la cui carenza come Paese ci mette troppo spesso in condizione di avere costi di produzione più elevati rispetto ad altri Paesi. Per questo da parte di Coldiretti è stata lanciata la strategia, che è un grande progetto economico, dei “Progetti di filiera”, vale a dire si fissa un prezzo dei prodotti che non può mai andare al di sotto dei costi di produzione, garantendo così alle imprese la possibilità di fare agricoltura programmandola, e garantendo la qualità al consumatore. E qui spunta il grande tema del Made in Italy”.
Il tema del prezzo dei prodotti fisso comporta anche affrontare il tema del lavoro e dell’equo compenso, che, come sappiamo dalle cronache, spesso diverge in mdo significativo nel apssaggio dai campi alla tavola. Come affrontate queto delicato passaggio?
“Il tema è da sempre una delle nostre preoccupazioni più vive e riguarda anche da vicino il problema del caporalato. Vorrei sottolineare il fatto che il tema della divaricazione fra retribuzioni agli agricoltori e ricarichi ai consumatori, oltre alle varie forme di caporalato e sfruttamento, è un tema inerente al concetto di sostenbilità di cui si parlava prima. Non possiamo immaginare che la sostenibilità sociale sia disgiunta da quella economica o ambientale. Abbiamo la necessità di tenere dentro il concetto tutte le sue componenti. Per quanto ci riguarda, lo abbiamo sempre fatto: penso in particolare alle proposte sul caporalato, che oltre al maggiore controllo, comporta il ripristino delle condizioni eque di lavoro e equa ridistruzione della ricchezza lungo la filiera”.
La trasparenza della filiera è anche la maggior garanzia contro le infiltrazioni delle agromafie?
“Certamente, ma è necessario ricordare che per agire nel senso della valorizzazione del lavoro e contro infiltrazioni pericolose, è necessario creare anche sinergie fra settori diversi. Nel senso della trasparenza, abbiamo lanciato un portale che mette in contatto domanda e offerta direttamente, nella logica suddetta. Il tema della trasparenza è un tema fondante, cui non possiamo rinunciare. D’altra parte ritengo anche che, nonostante la battaglia difficile, questo è un momento sociale in cui non ci possiamo consentire, ancora di più in quanto giovani, di tralasciare o non entrare nel merito delle questioni. Torno a ripetere: tutto ciò fa parte del grande tema della sostenibilità, di cui tutti parlano ma che spesso sfugge nela sua complessità”.
Quali sono le vostre proposte per la sostenibilità e in che senso la declinate?
“La sostenibilità per essere reale deve comprendere tutti i settori in sinergia. Cosa che non si verifica, dal momento che tutti i singoli settori tendono invece a proporre progettualità che hanno di mira la “propria” sostenibilità. In altre parole, come sostenuto dall’Agenda 2030 (gli obiettivi di sviluppo sostenibile, OSS sono una serie di 17 obiettivi interconnessi, definiti dall’Organizzazione delle Nazioni Unite come strategia “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”, ndr), tutti i settori citati dovrebbero entrare in una logica perfettamente integrata. Che è quello che ad ora non si realizza. La dimensione è trovare un equilibrio fra le parti, un equilibrio che è possibile. Per quanto ci riguarda, abbiamo lanciato delle proposte, ad esempio tentando di capire quali erano le superfici che il settore agricolo poteva mettere a disposizione del settore energetico, come le strutture (stalle, capannoni), che abbiamo censito e recuperato per offrirle alle nuove tecnologie di approvvigionamento energetico”.
Un altro punto spesso lamentato dai giovani agricoltori è la difficoltà dell’accesso al credito. Qual è la vostra riflessione?
“Dal punto di vista del credito ai giovani in agricoltura, a parte l’osservazione banale che gli istituti di credito dovrebbero finalmente accorgersi delle potenzialità del settore che vede la presenza in crescita di un tessuto imprenditoriale molto giovane, continuiamo a puntare molto sulle politiche agricole europee, tenendo di vista le risorse che all’interno della plitica agricola comunitaria possono essere messe a disposizione dei giovani agricoltori. In particolare per quello che riguarda la programmazione, abbiamo proposto di portare le risorse a disposizione delle regioni al massimo possibile, overo al 4%. Non è sempre semplice, dal momento che esiste un grande “cappello” normativo europeo, un cappello nazionale e poi i tanti piani regionali. L’altro grande problema che si accompagna alla criticità del credito è che purtroppo non tutte le strutture amministrative sono efficienti allo stesso modo. Per spiegarmi meglio, capita spesso che l’apparato burocratico, sebbene le risorse ci siano, finisce di fatto per bloccare le progettualità. Dunque, ciò che serve in concreto è la semplificazione e la velocizzazione delle procedure della Pubblica Amministrazione, dal momento che il tema è: abbiamo delle risorse disponibili, sappiamo che di fronte a noi le sfide sono enormi, sappiamo che la transizione in atto porta con se’ fatalmente tempi necessari per il suo avverarsi, è necessario che da un lato la politica nel legiferare e la pubblica amministrazione nell’implementare, siano coordinate in primo luogo e poi estremamente efficienti. Se vogliamo che davvero i soldi europei diventino un investimento sul futuro del Paese, dobbiamo essere veloci. D’altronde, le risorse del PNRR vanno spese entro il 2026. Ciò implica che, a fronte dei fondi europei molto consistenti, dobbiamo essere in grado di mostrare una grande capacità di spesa e progettualità”.