Se le regionali avevano lanciato qualche non marginale segnale al Pd renziano, subito smentiti dal suo staff, questi ballottaggi segnano un’evidente sconfitta del centro-sinistra. Usiamo quest’ultimo termine perché hanno perso le coalizioni, anche se il partito egemone, e dunque largamente responsabile della sconfitta, è il Pd. Leggo che il vice segretario Guerini si affretta a precisare che il voto non è stato contro il governo, dunque che non si è trattato di voto politico. È vero che tra regionali, e ancor più comunali, e politiche esiste una notevole differenza. Che le prime, e ancor più le seconde, sono influenzate dalla candidature, dalla presenza di liste civiche, da giudizi sulle passate amministrazioni.
È altresì inoppugnabile che questi ballottaggi segnano tuttavia una tendenza politica, perché il centro-sinistra perde troppi comuni e soprattuto i più importanti. E li perde al Nord e al Centro come al Sud. Venezia doveva registrare un segnale importante. Il voto è stata una dèbacle come quello della veneta Rovigo. E che dire di Nuoro, dove il centro sinistra vinceva da sempre, e Arezzo, in mano al Pd renziano? Che dire di Matera, nella rossa Basilicata? Come non interpretare tutto questo come una tendenza elettorale? E allora cerchiamo di comprenderne i motivi. Innanzitutto la forte astensione che ha visto la diserzione di un’ampia maggioranza degli aventi diritto. Ma anche la scarsa partecipazione al voto, che è ormai più o meno la stessa al Nord come al Sud, rappresenta un dato politico.
Il problema è semmai capire perché oggi l’astensione avvantaggi il centro-destra e punisca il centro-sinistra, come mai era avvenuto in passato. Anzi, perché l’astensione sia diventata il rifugio in cui si collocano larghe fette di elettori di centro-sinistra. A mio avviso i motivi sono essenzialmente due. I problemi legati al fenomeno dell’immigrazione e quelli derivati da una ripresa troppo timida e da una disoccupazione ancora massiccia. Anzi è il secondo problema, come ci ricorda l’economista francese Jean Paul Fitoussi, a creare anche il primo. L’insoddisfazione per il presente e la paura del futuro provocano sentimenti di repulsione e di rifiuto verso il fenomeno di un’emigrazione che per le sue dimensioni non dovrebbe proprio spaventare nessuno.
Oggi Renzi ha il dovere di non sottovalutare il segnale. Anzitutto di recepirlo, poi di aggiustare il tiro. Personalmente non sposerei la linea del socialista Hollande che per paura della Le Pen finisce per accettarne la linea. Quella visione di militari armati che, in sfregio al tratto di Schengen, respingono i migranti (in Italia) è quanto di peggio si possa immaginare. Ma la decisione del socialista Hollande di uscire dall’assurdo vincolo de tre per cento nel rapporto deficit-Pil, se fosse stata imitata da Renzi, avrebbe consentito di gettare sul mercato decine di miliardi di investimenti pubblici, di alzare il tasso di sviluppo, di abbassare il suo rapporto col deficit. Renzi non ha voluto farlo. Adesso deve uscire dai proclami e compiere scelte più nette. Ci pensi.