Firenze – Autorecupero, ovvero, una delle strade “speciali” per mettere in atto politiche abitative non solo che rispondano ai bisogni reali della gente, ma che trovino il modo di coniugare qualità ed economicità, oltre ad essere veri e propri “presidi” sociali. A Firenze, col bando regionale del 2012, si è aperta la possibilità di avviare il percorso dell’autorecupero per 5 immobili, fra cui l’ex asilo Ritter, a Castello, e l’immobile dell’ex Bice Cameo in via Aldini, a Firenze. Protagonista di questi due progetti, l’associazione “Un Tetto sulla Testa” che si è costituita fra persone con precarietà abitativa. I due stabili sono stati teatro di occupazioni da oltre vent’anni.
E oggi è giorno di festa, all’ex asilo Ritter, che si trova in via Reginaldo Giuliani e festeggia l’ultimazione della prima fase dei lavori. Tre abitazioni completate, per un lavoro di cantiere lungo 6 mesi, che ha visto l’attivazione dei tre attori principali: il proprietario, vale a dire il Comune di Firenze, la Regione Toscana e ovviamente il motore di tutto, vale a dire l’associazione di promozione sociale “Un Tetto sulla Testa”, che ha consegnato le braccia, il lavoro, la passione, la partecipazione al progetto, sotto la guida del direttore dei lavori, l’architetto Dariuche Dowlatchahi.
Una struttura, quella dell’ex Asilo Ritter, che ha conosciuto vari momenti di splendore e declino: costruita negli anni ’30, originariamente di proprietà della baronessa De Salignac, venne in seguito donata al Comune di Firenze. Utilizzata come struttura di accoglienza per ragazze madri e come asilo nido, giunge agli anni ’80, quando affogata fra le esalazioni chimiche delle fabbriche dell’area, viene di fatto abbandonata e consegnata al decadimento. .Nel 1991 viene la struttura viene occupata dal Movimento di lotta per la casa, che dà il via al percorso per giungere a una proposta di autorecupero che doveva portare, nelle intenzioni originarie, alla costruzione di 6 alloggi. Di fatto si apre una fase di trattative che vede come soggetti il Movimento e il Comune, con l’obiettivo di giungere a un progetto condiviso di autorecupero. Le elezioni comunali del 1995 segnano una battuta d’arresto, ma le trattative ripartono, giungendo nel 1998 alla sentenza di secondo grado che riconosce la proprietà dell’immobile al Comune di Firenze: infatti era scattata una causa da parte degli eredi della De Salignac che ritenevano che la mancata ottemperanza del Comune di Firenze al vincolo testamentario di utilizzazione sociale della struttura avesse fatto venire meno la titolarità.
Se la storia dell’immobile è tormentata, non lo è da meno quella della proposta di autorecupero. Infatti, la proposta, la cui idea nasce contestualmente all’occupazione dell’area da parte del Movimento di Lotta per la Casa nel 1991, vede un primo inserimento nel bando regionale sull’autorecupero del 2005, poi fallito, poi un secondo in quello del 2012. E qui, con determinazione dirigenziale n. 11140/2012, viene approvata. A questo punto, la proposta dell’Associazione Un Tetto sulla Testa prevede la realizzazione di 10 alloggi oltre a spazi dedicati alla collettività. Percorso ormai in discesa? Affatto. Fra tutti gli ostacoli che ancora sussistono, una forte battuta d’arresto avviene con l’avvento del periodo renziano, in cui vengono rimessi in discussione persino la legittimità dei soci dell’associazione di promozione sociale, in quanto, per alcuni, c’è l’accusa di reato d’occupazione. “A quel punto – spiega l’architetto Dowlatchahi – vengono esclusi dall’associazione, un’esclusione temporanea, in quanto essendo in seguito assolti, possono rientrare”. Altro tempo trascorre in attesa di autorizzazioni, fogli e altri adempimenti burocratici, ma intanto il lavoro comincia e procede.
Intanto, il profilo economico: per la riqualificazione della struttura e la realizzazione degli alloggi, è prevista una spesa di 600mila euro. Di questi, 400mila euro li mette la Regione, 350mila per materiali, attrezzature e opere edili, più 50.000 euro per attività di formazione e coordinamento, mentre 200mila è l’apporto dell’associazione, in lavoro e risorse monetarie. Gli appartamenti, 10 di superficie variabile fra 55,53 mq a 94,88 mq. sono assegnati a 10 persone, fra cui tre famiglie con bambini, 4 single e 2 coppie. Secondo la logica dell’autorecupero, una volta insediati i soci, la locazione viene prevista per trent’anni da parte del titolare, in questo caso il Comune di Firenze, verso la cooperativa. Una volta scaduto il trentennale, come spiega Dowlatchahi, se non c’è rinnovo, lo stabile torna sì nella disponibilità del Comune, ma all’interno del patrimonio Erp.
Il progetto, diviso in tre fasi, ha visto il completamento della prima fase, con l’ultimazione dei primi tre appartamenti. “Una necessità, quella di procedere per fasi, dettata dalle esigenze dei soci – continua il direttore dei lavori – in quanto abitando nello stabile va da se’ che bisogna prima completare, poi traslocare, poi iniziare i lavori in un’altra tranche”. Ovviamente, i lavori sono sotto il controllo sia dell’Asl (che si è già recata sul luogo 2 volte), sia della Regione, con il gruppo di valutazione autorecupero creato con il bando, che controlla la rispondenza ai requisiti richiesti. Oltre, ovviamente, al controllo dei tecnici comunali.
Se questa è la natura tecnica dell’autorecupero e le sue basi giuridiche, c’è un aspetto di innovazione sociale che fa bene anche alla tasca e diventa veicolo di sostenibilità ambientale. Mutuamo la sintesi dei punti di forza di questo strumento innovativo eppure tradizionale (in Europa esperienze analoghe sono state già esperite sin dagli anni ’70) da un documento diffuso da “I tecnici scalzi delle Associazioni Il Melograno, Co-Habitat, Un Tetto Sulla Testa: Arch. Dariuche Dowlatchahi, Arch. Sandro De Marzi, Arch. Pasquale Dinoi, Ing. Franco Matteoni, Ing.Jr. Alessio Luli, che hanno espresso le proposte di autorecupero a Firenze.
“Per le istituzioni di governo locale questa esperienza può dare vita ad una politica di intervento che supera le logiche assistenzialistiche attraverso il coinvolgimento diretto dei portatori di bisogno nella realizzazione e progettazione dell’intervento.
Dal punto di vista macro-economico l’autorecupero assume il significato di un particolare procedimento che permetterebbe la produzione di alloggi a basso costo per categorie sociali svantaggiate, a condizione che queste partecipino con la propria forza-lavoro al processo produttivo.
Dal punto di vista micro-economico le ricadute territoriali sono prevalentemente orientate sulla produzione e commercializzazione al dettaglio dei componenti e prefabbricati low-tech ed all’impiego delle micro-imprese (artigiani-lavoratori autonomi) del comparto edile.
Dal punto di vista dei rapporti sociali l’autorecupero rappresenta un un’esperienza di rafforzamento delle relazioni interpersonali che genera identificazione e senso di appartenenza alla comunità, integrazione e multiculturalità con interessanti opportunità autoformative che investono anche gli aspetti occupazionali spesso correlati al disagio abitativo.
Dal punto di vista ecologico costituisce un ottimale strumento di rigenerazione urbana dal basso, un antidoto ai processi di gentrificazione e di desertificazione urbana, dove riciclo e riuso diventano aspetti centrali dell’intervento di autorecupero contribuendo alla creazione di economie circolari”.
Un “piccolo passo in una direzione diversa” che mette sul piatto anche un risultato importante di condivisione multietnica che si attua con l’utilizzo, sia per il progetto che per le scelte attuate sul campo, di uno degli strumenti più antichi eppure più “nuovi” della dialettica e del confronto, vale a dire l’assemblea come soggetto decisionale. E’ infatti dall’assemblea dei soci dell’associazione “Un Tetto sulla Testa” che provengono input, confronti, scelte. Per una progettazione “davvero” partecipata e dal basso.
Foto: Luca Grillandini, copertina e Fiati Sprecati foto dei soci di Un Tetto sulla Testa