Autonomia differenziata: l’agone politico riaffila le armi

La tirata d’orecchi della Corte costituzionale

“Esiste una sola nazione, così come vi è solamente un popolo italiano, e non sono in alcun modo configurabili dei popoli regionali titolari di una porzione di sovranità”. Eccola la premessa e il cuore della sentenza n.192 della Corte costituzionale, 166 pagine che fanno chiarezza non solo sulle questioni all’esame, ma sui principi che dovrebbero regolare tutto il nostro diritto regionale.  E’ la risposta ai ricorsi presentati dalle quattro Regioni (Campania, Puglia, Sardegna e Toscana) contro la legge sull’autonomia differenziata, firmata dal ministro leghista Roberto Calderoli.  

In sintesi, dice la Consulta: va bene l’autonomia ma va vincolata a stringenti condizioni di compatibilità costituzionale. Quindi, la legge Calderoli è salva ma viene smontata e sostanzialmente va riscritta.

Già nel comunicato del 14 novembre scorso la Corte aveva anticipato le sue decisioni, nelle motivazioni depositate venti giorni dopo si capisce che i rilievi di incostituzionalità sollevati sono centrali e colpiscono al cuore la riforma.

I giudici della Consulta, guidati dal presidente Augusto Barbera, ampliano il loro orizzonte interpretativo a tutta la materia dei rapporti fra lo Stato e le Regioni coinvolgendo anche il famigerato Titolo V introdotto nel 2001, che lasciava margini di dubbi e lacune. Ora la Corte ha fatto pulizia in questa materia complessa, fissando ineludibili principi generali, con accenti definitivi che dovrebbero valere per il passato, il presente e il futuro. E soprattutto ha sottratto la materia alla lotta politica, per riportarla allo spirito costituente.

Prima del merito delle questioni di incostituzionalità strettamente connesse alla legge Calderoli sono quindi importanti i principi ispiratori richiamati dalla Consulta. Del primo si è detto, l’unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5 Costituzione). Poi vengono riaffermati i principi fondamentali di uguaglianza tra i cittadini, di coesione e solidarietà.  Ne deriva che l’autonomia differenziata, pur ammessa dalla Consulta e dalla stessa Costituzione all’art.116, deve avere dei paletti precisi, è concepibile solo come “strumento al servizio del bene comune”, non può “spingersi fino a minare la solidarietà tra Stato e regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica, l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti… la coesione sociale e l’unità nazionale – che sono tratti caratterizzanti la forma di Stato, il cui indebolimento può sfociare nella stessa crisi della democrazia”.  

Con queste premesse diventa centrale  il ruolo del Parlamento al quale la Corte restituisce la sua dignità costituzionale mentre la legge sull’Autonomia aveva concepito di poterlo  bypassare procedendo direttamente alle intese  fra Regioni e Governo.  Invece, ricorda la sentenza, è il Parlamento a dover “tutelare le esigenze unitarie”, è il Parlamento che, seppure espressione della maggioranza, “permette di alimentare il dibattito nella sfera pubblica, soprattutto quando si discutono questioni che riguardano la vita di tutti i cittadini”. E qui la Corte cerca di sottrarre all’agone politico e agli interessi di parte non solo la legge Calderoli, ma anche la massima istituzione legislativa, troppo spesso snaturata e ridotta a teatro di fazioni politiche in contrapposizione fra loro, ridotta a un ‘votificio’ che risponde alle segreterie dei partiti, ridotta a ratificare decreti (72 solo nell’esecutivo Meloni, un record) concepiti e scritti nella sede del Governo, usurpando al Parlamento la sua funzione.

Vale anche per l’autonomia differenziata, è il Parlamento che dovrà vigilare su ogni trasferimento da Stato a Regione, che va ben motivato, sottolinea la Consulta, “in modo da evidenziare i vantaggi – in termini di efficacia ed efficienza, di equità e responsabilità – della soluzione prescelta”. Nessuna delega in bianco quindi e il bene comune come faro di ogni decisione.

La sentenza fissa paletti rigidi anche sulle eventuali materie da trasferire alle Regioni, escludendone otto che devono rimanere nella competenza statale: commercio con l’estero; tutela dell’ambiente; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto; professioni, ordinamento delle comunicazioni e, soprattutto, le norme generali sull’istruzione. Sulle prime c’è la competenza dell’Unione europea che vincola gli Stati, ci sono poi ragioni economiche e, sulla scuola, insuperabili ragioni di principio, perché la formazione, sentenzia la Corte tornando ai principi generali, è “intimamente connessa al mantenimento dell’identità nazionale”.

C’è poi tutto il capitolo dei Lep (Livelli Essenziali di Prestazione). Secondo la Consulta devono essere determinati e garantiti prima di qualsiasi trasferimento di funzioni perché rappresentano “il necessario contrappeso della differenziazione, una rete di protezione che salvaguarda condizioni di vita omogenee sul territorio nazionale”. Quindi sarà il Parlamento a definirli, con il criterio guida della ‘sussidarietà’, cioè le funzioni trasferite devono essere basate “su una ragionevole  giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria”. E ovviamente i Lep vanno finanziati, ma questo lo prevedeva anche la legge Calderoli e ad ora neanche una lira è stata stanziata.

Il richiamo costante ai principi sottolineato dalla sentenza della Corte Costituzionale ha creato una sorta di soggezione in tutti i protagonisti politici e reazioni contenute. Di più, incredibilmente sono tutti soddisfatti, hanno vinto tutti. 

Michele Emiliano presidente della Puglia, una delle regioni ricorrenti, taglia corto: “Si può ben dire che dalle affermazioni della sentenza l’impianto della legge Calderoli esce sostanzialmente demolito”. Il governatore del Veneto Luca Zaia, storico e inflessibile sostenitore dell’autonomia differenziata, non sembra invece turbato, anzi rivendica: “La Corte dice per ben 25 volte ai ricorrenti che le questioni poste sono infondate. Per altre 14 dice che sono inammissibili e solo per 13 volte chiede delle modifiche alla legge per incostituzionalità e propone già la soluzione come modifica, direi che è un lavoro costruttivo”. Insomma, per Zaia la Consulta avrebbe dato una mano, altro che demolizione, avrebbe fornito ‘istruzioni per l’uso’. La pensa così anche il ministro Calderoli che si dice “grato alla Corte”, aggiungendo: “Siamo sulla strada giusta, si tratta di sentenza additiva, che integra direttamente il contenuto della legge e non richiede ulteriori interventi se non nella parte relativa ai Lep”.

Intanto il Comitato per la determinazione dei livelli essenziali delle Prestazioni (Clep) presieduto da Sabino Cassese continua il suo lavoro, nonostante le opposizioni ne invochino la chiusura immediata insieme allo stop di tutte le intese già avviate fra Governo e Regioni. Su questo c’è già un’interrogazione del Pd rivolta al ministro per gli Affari regionali Calderoli cui si chiede perché il Clep “continui ad andare avanti fissando al 18 dicembre il completamento dei lavori considerato che, dopo la sentenza della Corte costituzionale, questo organismo è senz’altro da ritenersi estinto”.

Chiara Braga, capogruppo Pd alla Camera: “E’ tempo che la maggioranza archivi il progetto di spaccare l’Italia”, altre opposizioni parlano di “pietra tombale” o smantellamento dell’autonomia differenziata, come prevedibile del resto. Lo è meno invece l’atteggiamento tiepido delle altre due forze di governo, Fi e Fdi, che non sembrano avere fretta. Entrambe non hanno mai amato la riforma dell’autonomia. Antonio Tajani, vicepremier e presidente di Forza Italia ricorda al collega Calderoli i rilievi che gli aveva fatto sul commercio estero, ritenendolo materia non trasferibile. Si spinge oltre il ministro per il Sud Nello Musumeci: “L’autonomia è tema divisivo, va accantonato”. Ma la Lega non ammette defezioni dagli alleati e ricorda le altre due riforme-bandiera , la giustizia di Forza Italia e il premierato di Fratelli d’Italia. Stanno tutti sulla stessa barca, o navigano insieme o affogano tutti. Simul stabunt, simul cadent.

L’autonomia sembrava un pezzo avanti visto che aveva già ottenuto l’ok definitivo del Parlamento, ma si deve ripartire e la battaglia è appena iniziata. Alle opposizioni non basta la sentenza della Corte Costituzionale, ci sono oltre un milione di firme in Cassazione per il referendum abrogativo dell’intera legge Calderoli. Ma con la pronuncia della Consulta non si sa se questo referendum è ancora ammissibile perché la legge è ormai un’altra cosa.  La questione è controversa e se la stanno studiando giuristi e  costituzionalisti. I magistrati di Cassazione dovranno decidere se sono cambiati i principi ispiratori e i contenuti essenziali dell’autonomia differenziata voluta dalla Lega.  Il verdetto è previsto per il 12 dicembre, poi ci sarà il passaggio alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimità.  

Intanto Calderoli e i ‘suoi’ presidenti di Regione vanno avanti e, nonostante le raccomandazioni della Consulta, l’agone politico riaffila le armi.

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