Autonomia differenziata in attesa di una nuova proposta del Governo

Alla Fondazione Rosselli un dibattito sulla sentenza 192 della Consulta

Autonomia differenziata, il tema è sempre caldo. A riaccendere le polveri, la sentenza 192/2024 della Corte Costituzionale che ha rigettato, dal mazzo di referendum proposti, proprio quello sull’autonomia differenziata. Come ricorda il presidente della Fondazione Circolo Rosselli Valdo Spini, nell’introduzione all’incontro che si è tenuto mercoledì 22 gennaio nella sede della Fondazione, lo stesso presidente della Corte Costituzionale, Giovanni Amoroso, appena installato al vertice della Suprema Corte, ha ricordato al governo che è necessario determinare prima, per via parlamentare, i Lep, ovvero i Livelli di Prestazione Essenziale, i veri snodi del nuovo sistema. Spini sottolinea: “A questo punto dovrebbe essere il governo a riformulare una proposta di legge coerente con la sentenza della Corte costituzionale”, e, nella complessità anche da parte governativa di affrontare la nuova fase, lancia un appello alla segreteria Schlein per mettersi in partita. “Serve mobilitare l’opinione pubblica da parte del centrosinistra”.

Marcello Cecchetti, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l’Università di Sassari, “La sentenza della Corte ha fatto esattamente ciò che auspicavamo – dice- vale a dire, ascoltare, studiare, ricevere i pareri e le opinioni dei vari attori, infine ricucire un ordito costituzionale che rischiava di essere lacerato”.

Un vantaggio innegabile della sentenza della Corte è secondo il costituzionalista, il fatto che sia stata data una risposta di diritto a un tema che non poteva essere affidata al quesito referendario. Infatti, dice Cecchetti, “il vero tema del referendum finiva per essere l’art. 116 comma ter della Costituzione, ovvero autonomia differenziata per le regioni sì, autonomia differenziata per le Regioni no”. Da questo punto di vista, la sentenza 192/2024 C.C. con la sua ricucitura dell’ordito costituzionale, assume il ruolo di uno spartiacque: “C’è un prima e c’è un dopo – dice il costituzionalista – un regionalismo pre 192 e uno dopo 192 “.

La sentenza 192 quindi ha chiarito che l’autonomia differenziata è una riforma costituzionalmente legittima che si iscrive nell’ambito dei principi supremi dell’ordinamento vigente. Cecchetti ricorda che è tematica insita nel sistema costituzionale, citando in particolare l’art. 5 della Costituzione, che accanto al principio dell’unità e indivisibilità della Repubblica pone l’impegno a riconoscere e promuovere “le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. In altre parole, la Consulta sottolinea un impegno costituzionale preso dai padri fondatori che è dentro le norme stesse del sistema. Un sistema dunque secondo quanto spiega Cecchetti, che, all’interno della forma di autonomia “paritaria” nel senso che riconosce le stesse forme di autonomia a tutte le regioni ordinarie, che “è solo uno step, sebbene importante”, prevede anche forme di autonomie ad hoc per regioni, meccanismo che ben rappresenta il plus proprio dell’autonomia differenziata. Ovviamente, “con un limite ontologico – continua il professore – quello di non potere impingere sull’unità e indivisibilità della Repubblica”.

L’autonomia dunque è un obiettivo della Repubblica, e la Corte ce lo ricorda. Cecchetti aggiunge anche il principio di sussidiarietà contenuto nell’art. 118 della Costituzione, che secondo lui già veicolerebbe una tendenza alla autonomia differenziata, mai , peraltro, presa in considerazione. Dunque, è necessario familiarizzare con la differenziazione, che tuttavia è “tema complesso e difficilissimo”. Tant’è vero che, continua i professore, “è molto difficile da realizzare, sicuramente complica i meccanismi istituzionali, impone responsabilità maggiori non solo da parte del differenziato, ma anche di chi deve salvaguardare l’unità e l’indivisibilità della Repubblica”. Perciò, spiega il professore, la Corte dice basta a quella sorta di anatema che è diffuso presso l’opinione pubblica verso la differenziazione regionale. Certo occorrono una serie di condizionalità. E la Corte, sdoganato il principio della legittimità, entra nel dettaglio.

“Alcune delle condizionalità previste sono più note – ricorda Cecchetti – intanto, solo materie specifiche possono essere oggetto della differenziazione, come racconta la storia di qualsiasi autonomia, contando anche sul fatto che esiste una barriera invalicabile, ovvero la sussidiarietà”. In altre parole, il professore ritiene che anche la stessa legge Calderoli individui non blocchi interi di materie o interi sistemi, ma delle funzioni specifiche, e che la tutela dalla frammentazione della Repubblica sia ampiamente svolta (“tutela invalicabile”) dal principio di sussidiarietà all’art. 118 Cost. Che in soldoni dice che la funzione richiesta verrà affidata alla Regione se questa risulterà essere in grado di svolgerla. Resta da capire chi e come svolga il compito di controllo, al di là di risposte formali.

“La Corte dice anche altre cose – continua Cecchetti – ovvero che il regionalismo si può e, secondo quanto espresso in precedenza, si deve fare, previa la realizzazione di alcuni pilastri del regionalismo ordinario che ancora non sono stati realizzati”. Quali? “Lep, qualora si parli di funzioni prestazionali”. Ciò significa, d’altra parte, “che tutte le funzioni che non hanno a che fare con i Lep, sono già conferibili”.

Ma qual è il senso delle autonomie nel nostro Paese? Se lo chiede il pro rettore dell’Unifi Giovanni Tarli Barbieri, che interviene in seguito al professor Cecchetti.

“Il nostro Paese ha visto un dibattito schizofrenico negli ultimi vent’anni – ricorda – si è passati dall’evocare una mitica trasformazione federalista del nostro Paese, a una legge costituzionale che ha iniziato la valorizzazione delle Regioni lasciandola poi su un binario morto. In seguito, la crisi economica, la pandemia poi, e infine si riparte con la differenziazione. Perciò è necessario che si inizi un dibattito serio su cosa vogliamo”.

Compiendo una disanima degli articoli (inattuati) della Costituzione che parlano di autonomia, Tarli Barbieri indica intanto il 118, ovvero il trasferimento di “funzioni amministrative”, trasferimento mai visto. “Chi è che ha posto con forza, a livello politico, la questione dell’attuazione del 118 come una grande questione nazionale? Nessuno”. Ma andiamo ai Lep. I Livelli essenziali di Prestazione si configurano come un grande tema, che, al di là dell’autonomia differenziata, “si pone come una criticità da risolvere a carattere costituzionale”, dal momento che andare a cercare i Lep nella nostra legislazione porta a risultati intricatissimi e contraddittori.

“Abbiamo costruito, a livello meramente giurisprudenziale, un regionalismo collaborativo, affidandoci a strumenti come le Conferenze, con una normativa che rendono questo strumento del tutto opaco”, dice Tarli Barbieri..

Un approccio interlocutorio e problematico è quello adottato anche dal terzo costituzionalista al tavolo della Fondazione Rosselli, ovvero il professor Stefano Grassi. Inevitabile, secondo il docente, porsi tre domande, nell’affrontare la tematica dell’autonomia differenziata: la prima, come intendere il rapporto mai risolto di cui parla l’art. 5 Cost, ovvero fra l’unità e il regionalismo; il secondo, le regioni sono in grado di poter gestire il quotidiano, fornire servizi ai cittadini, rispondere alle loro necessità e richieste; la terza, le regioni sono in grado di rappresentare le diversità dei territori in modo da collaborare partecipando all’unità della nazione.

“A mio parere, la Corte ha dato risposta con la sentenza, anche a questi quesiti”, dice Grassi, ricordando il percorso delle Regioni, che, dopo l’intuizione molto forte dei padri costituenti che produsse l’art. 5, vennero costituite non immediatamente ma solo negli anni ’70”, anche se “l’intuizione rappresentata nell’art. 5” rimase in nuce fino alla riforma del 2001, che in questo senso riprese quei principi. “Voglio ricordare che l’art. 5 venne scritto da La Pira, secondo l’idea della piramide rovesciata, con le Regioni che fungono da intermediari, e il principio di sussidiarietà è contenuto nell’odg Dossetti”. Una sorta di rivoluzione dal basso che non fu mai attuata. Così, “ci troviamo di fronte a una Costituzione che enuncia alcuni principi, a una legislazione sostanzialmente centrista, e a una giurisprudenza costituzionale che dice come dovrebbe essere il regionalismo”. La sentenza in oggetto, dunque, farebbe parte di quest’ultima categoria?

“Ci troviamo di fronte a una sentenza molto complessa, ampia, che mette ordine, dà una visione del sistema e dice, giustamente , quel che deve essere il nostro regionalismo. Il paragrafo 4 della sentenza è molto chiaro nel ricostruire una modalità in cui le Regioni partecipano al comitato di coordinamento attraverso la loro capacità di attuare il loro diritto di libertà e la democrazia del nostro sistema, un’idea lapiriana. La sentenza si concentra su questo principio. Ci sono più popoli , ma nel Parlamento il popolo diventa uno, e il Parlamento è il luogo dove si produce la sintesi dell’attuazione dei diritti”. Del resto, la stessa precisazione sui Lep, determinati dal Parlamento, si trasforma in un elemento che precisa e definisce la risposta alla prima domanda, ovvero se le Regioni sono strumenti di disgregazione, nel senso che sono invece strumenti di unità, in quanto capaci di partecipare e di essere espressione di quello stato sociale che possono interpretare”.

Sul piano amministrativo, la precisazione della Corte che non si possono trasferire materie, ma che bisogna misurare le funzioni singolarmente, giustificando il perché queste funzioni possono essere meglio svolte a livello regionale invece che statale, ovvero l’applicazione del principio di sussidiarietà in modo rigoroso, diventa un obbligo, che si manifesta nella ricerca, studio, comprensione delle funzioni amministrative, o meglio del servizio amministrativo sia sa parte del governo centrale che delle Regioni. Anche per quanto riguarda la spesa, quando una Regione si assume le funzioni richieste, deve dimostrare di essere più efficiente rispetto allo Stato.

Inoltre, riconoscendo le Regioni come enti autonomi in senso costituzionale, la Corte Costituzionale taglia per la prima volta con un principio processuale sinora seguito, ovvero il fatto che, essendoci un ricorso principale fra Regione e Stato, parti principali fossero appunto solo la Regione ricorrente e lo Stato. Come ? Affermando che si tratta di una legge che tratta l’ordinamento generale delle Regioni, afferma tutte le Regioni possono intervenire. E anche in futuro, per quanto riguarda le intese, potrà esserci il ricorso anche di altre Regioni. Quindi, non solo la Corte stabilisce come si attua un regionalismo rispettoso dei principi costituzionali, ma dice anche che controllerà che questi principi vengano applicati nell’evolversi del futuro. Chiude Grassi: “Ritengo che questa sentenza sia utile per la speranza di poter ricominciare a ragionare sul regionalismo in modo ordinato”.

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