Firenze – La Corte costituzionale stoppa in 7 svincoli la legge sull’Autonomia differenziata, in particolare dai Livelli essenziali di prestazione (Lep) alle aliquote sui tributi. Dunque, respinta l’eccezione di incostituzionalità sulla legge in generale, che resta però monca di alcune parti essenziali.
Il grande principio attorno a cui sembrerebbe ruotare l’indicazione della Suprema Corte, in attesa della sentenza, è il principio costituzionale di sussidiarietà che regola la distribuzione delle funzioni tra Stato e regioni. Per cui, viene ritenuta incostituzionale la possibilità che l’intesa tra lo Stato e la regione e la successiva legge di differenziazione trasferiscano materie o ambiti di materie. La devoluzione infatti, secondo la Corte, dovrebbe appuntarsi su funzioni legislative e amministrative ben precise, giustificandosi, in relazione alla singola Regione, alla luce appunto del principio di sussidiarietà.
Uno dei punti ritenuti fondamentali sono poi i Lep, ovvero i Livelli essenziali di prestazioni. . Stoppato dalla Corte il conferimento di una delega legislativa per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni dei diritti civili e sociali priva di idonei criteri direttivi, dal momento che la conseguenza sarebbe la remissione della decisione sostanziale nelle mani del Governo, limitando così il ruolo costituzionale del Parlamento. Di conseguenza, risulta incostituzionale la previsione che a determinare l’aggiornamento dei Lep sia un Dpcm, il che significa che la determinazione dei Lep sarebbe operata con Dpcm sino all’entrata in vigore dei decreti legislativi previsti dalla legge.
Gettito dei tributi, altro punto bocciato dalla Corte. In realtà, si tratta della possibilità prevista dalla legge di modificare con decreto interministeriale le aliquote della compartecipazione al gettito dei tributi erariali previsto per finanziare le funzioni trasferite, in caso di scostamento tra il fabbisogno di spesa e l’andamento dello stesso gettito. Il motivo è legato al fatto che tale meccanismo potrebbe arrivare a premiare le regioni inefficienti, che, pur avendo ottenuto dallo Stato le risorse finalizzate all’esercizio delle funzioni trasferite, non sono poi in grado di assicurare l’adempimento di quelle funzioni.
Il principio cardine della sussidiarietà prevale poi anche per quanto riguarda la facoltatività delle Regioni “devolute” verso il concorso agli obiettivi di finanza pubblica. La Corte ne rimarca il carattere incostituzionale, in quanto si deve sostituire il principio di doverosità, pena l’indebolimento dei vincoli di solidarietà e unità della Repubblica. Incostituzionale anche l’allargamento della legge in esame alle Regioni a statuto speciale. Queste ultime, per arrivare a un’autonomia più estesa, devono ricorrere alle procedure previste dai loro statuti speciali.
Criteri interpretativi generali per impedire che in altre parti la legge possa ricadere nell’incostituzionalità. La Corte ha indicato l’iniziativa legislativa per la differenziazione in capo non esclusivamente al Governo, in quanto nn si sta parlando di una semplice approvazione dell’intesa, bensì viene in essere il potere di emendamento delle Camere e dunque la possibilità di una rinegoziazione. La predeterminazione dei Lep solo in alcune materie significa che, se il legislatore qualifica una materia come ‘no-Lep’, i relativi trasferimenti non potranno riguardare funzioni che attengono a prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.
Un altro punto importante preso in considerazione dalla Corte è la spesa storica come base per individuare, con la compartecipazioni al gettito di tributi erariali, le risorse destinate alle funzioni trasferite. Stop della Corte in proposito, che rigetta l’utilizzo della spesa storica disponendo invece di prendere a riferimento costi e fabbisogni standard e criteri di efficienza. L’applicazione della sussidiarietà come principio generale ha come ricaduta anche che, alla conclusione dell’intesa e all’individuazione delle relative risorse, la clausola di invarianza finanziaria faccia sì che si considerino, nel quadro generale della finanza pubblica, gli andamenti del ciclo economico e il rispetto degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Ue.
Ma ora che succede? Sarà il Parlamento a gestire la legge, come derivata dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle Regioni ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali. Naturalmente, spetterà alla Suprema Corte il vaglio di costituzionalità sulle singole leggi di differenziazione, nel momento in cui venisse sollevata la questione di costituzionalità con ricorso in via principale (dalle Regioni) o in via incidentale.
“Oggi c’è la nostra soddisfazione nel vedere accolto il disagio per una concezione di autonomia regionale che non è assolutamente quella che ha ispirato la riforma del titolo V nel 2001”, dichiara il governatore toscano Eugenio Giani appena appresa la notizia sulle questioni di costituzionalità della legge sull’autonomia differenziata.
“Siamo naturalmente in attesa della sentenza ma quello che emerge è che il modello di regionalismo differenziato dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione non è quello che veniva seguito dalla legge 86 del 2024: come da noi sostenuto nel ricorso queste condizioni particolari di autonomia debbono riguardare solamente materie di specifica caratterizzazione di quella determinata Regione, non tutte le materie come alcune Regioni e anche legge 86 volevano. Poi c’è la questione della sostenibilità finanziaria e anche con riferimento a questo la Corte sembra andare nel senso da noi auspicato con i ricorsi”.
“Il regionalismo differenziato che la Costituzione prevede – continua Giani – non è quello che diceva la legge voluta dal Governo e approvata dalla maggioranza di centrodestra, ma quello che noi sostenevamo che fosse: è un regionalismo che comunque deve rispettare il principio di solidarietà, solidarietà ed equità”.