Firenze – Cos’è l’autogestione delle case popolari? Ad oggi, si tratta di un istituto ben conosciuto nell’ambito dell’edilizia Erp, oggetto di studi, tesi di laurea e persino di un romanzo. Trent’anni di vita “pericolosa”, ma soprattutto preminentemente fiorentina. Perché, pur essendo ammirate e portate ad esempio in tutta Italia, le autogestioni del territorio fiorentino hanno stentato e stentano a a crescere lontane dal clima di Firenze. E anche qui, agli inizi, sembrarono a molti solo pericolose utopie.
Perché l’idea fondante, come spiega uno dei suoi artefici, Claudio Bellanti, del Sunia, il sindacato che più credette e volle impegnarsi arrivando persino a organizzare seminari di formazione all’autogestione, nell’istituto, era dare credito. Credito, alle persone assegnatarie, che spesso provenivano da storie di devianze o da situazioni disperate o da passati non certo esemplari, che sarebbero riusciti a gestire le parti comuni, i bisogni quotidiani, insomma, l’amministrazione ordinaria da soli. Da soli? Incredibile, per i tempi, dal momento che si scontava un pregiudizio culturale, infiltrato anche in alcuni sindacati degli inquilini, secondo il quale gli assegnatari delle case popolari non sarebbero riusciti a tenere a bada le spinte “fuorvianti” che derivavano dalle loro vicende, personali e non. In altre parole, era troppo difficile da credere, che, una volta gestori di soldi comuni (esiste un fondo che si avvale dei contributi degli inquilini del condominio, utilizzato per le spese comuni e ordinarie) le persone avrebbero potuto dimostrarsi capaci di amministrare con l’occhio non agli interessi personali, bensì alla piccola comunità da cui erano stati eletti. E invece …
“Invece – racconta Bellanti – non solo gli episodi di appropriazione non motivata delle risorse comuni sono, in trent’anni, veramente rari (forse due), ma la consapevolezza di gestire risorse che andavano a migliorare l’ambiente comune spinse a rilanciare su abbellimenti, verde, rinnovo dell’arredamento, al di là di ciò che era strettamente “pratico”, come pulizia scale, ascensori e luce”.
Insomma, il successo si sparse a macchia d’olio da un lato, a macchia di leopardo dall’altro. Attualmente, i fabbricati in autogestione sono circa 250. “Ovviamente, non sono tutte rose e fiori – racconta Bellanti – alcune si rivelarono un fallimento, altre furono commissariate. Ma guardando al principio di base, quello di rendere protagonisti gli stessi assegnatari del loro condominio, si può dire che la scommessa ad oggi è stata vinta”.
Da una scommessa all’altra, non si può parlare di autogestioni senza occuparsi della Polis, la società di servizi del Sunia. La Polis nacque 30 anni fa, come le autogestioni, e fu pensata come ente di sostegno e consulenza per le autogestioni stesse. “Nessuna interferenza, questo è il principio – dice Bellanti, uno dei suoi fondatori – ma se l’autogestione ha bisogno di supporto, giuridico-legale ad esempio, siamo pronti”. Quindi non interferenza, ma una consulenza specializzata per quanto riguarda la vita, spesso complicata, dell’autogestione.
Due punti tuttavia rimangono “critici”: da un lato, come mai non sia possibile l’esportazione del modello, dall’altro i nuovi problemi che l’autogestione deve affrontare, legati al cambiamento dei tempi.
“Affinché l’autogestione funzioni – dice ancora Bellanti – serve la concatenazione di tre elementi: un ente gestore e una classe politica che ne riconosca il valore; un’associazione sindacale che ne promuova a e difenda la praticabilità; e naturalmente un corpo assegnatari che ne riconosca, pratichi e rivendichi la positività”. Insomma, è necessario che tutti ci “credano”: politica, sindacato e, last but not least, gli stessi assegnatari.
Il meccanismo, d’altro canto, non è complicato. Casa spa contribuisce con un certo stanziamento legato al numero dei vani dell’autogestione, che configura così un fondo comune. A questo punto, è il comitato a decidere cosa fare, sentendo i condomini, di questi soldi. Il ruolo del consulente della Polis sarebbe meramente tecnico contabile, come la redazione del bilancio, il sostegno per la rendicontazione delle spese, ecc. Ovviamene spesso il ruolo diventa più significativo, e assume anche carattere di mediazione. Ma le decisioni restano sempre in capo al comitato e dunque ai condomini. bisogna aggiungere che, in anni di rapporti anche fortemente interlocutori con gli enti gestori, sono state vinte alcune battaglie importanti, come l’incremento del fondo sociale per le famiglie meno abbienti, l’aumento delle quote per le autogestioni, un supporto concreto per le morosità, le quote del 70% per gli ascensori (il restante lo paga Csa spa, l’ente gestore).
Per quanto riguarda il secondo punto, l’autogestione si trova a dover affrontare cambiamenti sociali importanti, dal momento che, come sottolinea Bellanti, “si trova in prima fila”. Uno dei punti dirimenti è il rispetto delle regole e della legalità, che è un passaggio che si rivela fondamentale per la vitalità dell’istituto stesso, dal momento che è inutile darsi regole quando si sa in partenza che chi non le rispetta non viene sanzionato.
“Oggi la nuova frontiera delle autogestioni è soprattutto rivendicare la garanzia del mantenimento del rispetto delle regole, valide per tutti”, conclude Bellanti. Insomma, l’autogestione non è più chiamata “solo” ad assicurare il confort abitativo inteso come strutture abitative decorose e con servizi ben organizzati, magari seguendo anche un criterio di efficienza ed economicità, ma anche la tranquillità della vita, singola e di relazione. Una sfida che si allunga anche nel campo dell’integrazione, della convivenza, del rispetto reciproco.